Pianta strettamente legata ad Apollo, entrava probabilmente nelle miscele fumigatorie dell'oracolo di Delfi.
L'aroma ha una personalità maschile e solare. Si usava come agente purificatore, soprattutto in caso di epidemie. Ma, storicamente, la sua caratteristica principale è legata alla
capacità di favorire la chiaroveggenza e i sogni profetici.
Si può miscelare ad incenso, mirra, dictamo e ladano. Questi ingredienti costituiscono una miscela detta "Pythia".
...dal web...
( dal web )
Ginepro - Energia e concentrazione
Una delle più antiche piante fumigatorie. Negli antichi testi erboristici medievali si riteneva una pianta che protegge dall'attacco dei demoni.
Aroma energizzante, favorisce le capacità di concentrazione. Interessante il suo impiego in convalescenza per ridare tono dopo la malattia. Si usa anche in Tibet nelle fumigazioni "dhupi": si
praticano durante i rituali per aumentare la concentrazione spirituale. Si bruciano gli aghi o le bacche, spesso miscelate con altre resine, come quella dell'abete rosso o della sandaracca.
Una classica ricetta fumigatoria tibetana, che unisce il ginepro al rododendro, si chiama "Lawudo": conferisce stabilità psichica nei periodi convulsi.
( dal web...)
Rosa Damascena...
Rosa damascena - Il fiore dell'unione mistica
Il profumo preferito della spiritualità araba e sufi: per loro era la "madre di tutti i profumi". Importata in Europa dai Crociati.
Agisce sulla sfera affettiva, per lenirne le ferite. Apre il cuore e lo dispone all'ascesi.
Per i sufi la rosa di Damasco è il simbolo dell'unione spirituale con Dio.
I petali si aggiungono a varie miscele: famosa è la "Rosa mystica", ancora oggi in commercio, una carezza per il cuore sofferente.
( dal web )
Jinkoh - Il legno della via dei profumi
È il legno di una pianta (Aquilaria agallocha), dotato di un profumo meraviglioso. In Giappone è ben conosciuto perché si usa nelle cerimonie Ko-doh
(letteralmente "la via del profumo"). I rami sono adatti alle fumigazioni solo se infettatida un fungo che stimola la produzione della resina
aromatica.
La raffinata cultura giapponese parla di "ascolto" dei profumi: percepirli in modo consapevole significa completare il proprio cammino di perfezionamento interiore. E il Jinkoh è uno dei
protagonisti.
Jinkoh significa "legno che affonda", perché è più pesante dell'acqua. Lo si trova in scagliette minute, ma i giapponesi lo classificano in più varietà, alcune delle quali costosissime.
Esporsi al suo profumo alla sera favorisce il rilassamento: alcuni studi suggeriscono che in effetti migliori il sonno e abbia un potere calmante.
Il Jinkoh è conosciuto da sempre anche in Arabia (è citato nelle "Mille e una notte") come aroma erotizzante. È contenuto nella ricetta "Kyphi".
Copale
Copale - L'aroma di cui si cibano gli Dei
Esistono due alberi del copale (Protium copal e Bureseru microphylla), sacri alle popolazioni amerindie precolombiane. Maya e Aztechi offrivano la resina al
dio del Sole nei riti, durante le cerimonie di iniziazione o divinazione.
Esistono tre tipi di resina copale.
Quella bianco-gialla ricorda l'incenso e sprigiona un aroma delicato, adatto all'introspezione. Il Copale nero è più forte e tenebroso, un tuffo nelle profondità dell'anima. Quello color oro
stimola l'ispirazione, l'immaginazione e la fantasia.
Secondo la tradizione mesoamericana queste resine sono doni del Giaguaro, simbolo del Sole. Si considerava il cibo degli Dei: far salire i fumi verso il cielo significava ingraziarsi le massime
divinità del pantheon.
Erbe e magia...
( dal web )... da che mondo e mondo, le erbe dono state usate per uso alimentare , spirituale e tanto altro, come l'uso magico... diamo un piccolo assaggio storico ad esempio dell'uso del
rosmarino...Il nome latino è Rosmarinus, il significato etimologico non è ancora certo, alcuni attribuiscono poeticamente "rugiada del mare" o "rosa del mare", per il colore del fiore,
altri assegnano alla radice della parola la traduzione "arbusto" (arbusto del mare).
Il mare è legato alla pianta per la sua crescita abbondante nel bacino del Mediterraneo, zona in cui era venerato dagli antichi abitanti.
Presso gli Egizi, il Rosmarino è la pianta sacra dell'immortalità, un rametto veniva messo tra le mani del defunto per aiutare il viaggio verso l'immortalità.
Anche per il popolo greco l'arbusto prende parte ai riti funerari, la sua creazione è legata ad un mito, la morte della principessa persiana Leucotoe, sedotta da Apollo con l'inganno.
Nelle sue "Metamorfosi" Ovidio racconta che Leucotoe fu sepolta viva nella sabbia dal padre che la voleva punire per aver ceduto al Dio del Sole.
Apollo nel tentativo di riscaldare la bella principessa ormai defunta, sulla sua tomba fece crescere una pianta dal profumo intenso e dalle forti radici.
Si tratta dell'incenso che nei riti funebri greci veniva spesso sostituito dal rosmarino (detto anche pianta dell'incenso), posto tra le braccia dei defunti o bruciato.Il Rosmarino è la pianta
del ricordo e dell'immortalità dell'anima, consacrato al dio della guerra Ares , piantato sulle tombe dagli antichi Romani che usavano portarne un rametto al loro defunto durante il corteo
funebre.
Nella complessa mitologia domestica romana, una coroncina di rosmarino orna il capo delle statuette dei Lari, divinità del focolare e della casa.
L'uso funerario della pianta del Rosmarino si diffonde in tutta Europa, in alcune località italiane si usava cingere il capo dei defunti con corone di Alloro,Rosmarino e Mirto.
La Sicilia è ricca di vecchi proverbi e leggende che ricordano l'antico legame del profumato arbusto con l'isola, tra i rami del Rosmarino si racconta siano celate esili fatine sotto forma di
serpentelli pronte ad aiutare i bisognosi.
In passato si pensava che il Rosmarino allontanasse gli spiriti maligni e proteggesse dagli animali velenosi, mangiarne i fiori poteva sconfiggere maledizioni e stregonerie, il solo aroma
preservava dalle malattie.
Regalare all'amato un rametto di Rosmarino significava incanto, devozione e memoria, era un modo di comunicare il pensiero costante nei suoi confronti.
Il giorno delle nozze si ornavano le spose con rami di Rosmarino per simboleggiare sincerità.
Ferragosto, festa pagana e il grano...
Questa ricorrenza cade il 15 agosto, ed oggi è dedicata all'Assunzione di Maria Vergine, ma pochi sanno che la
ricorrenza è pagana. Nel 18 a.c. infatti Ottaviano fu proclamato Augusto, quindi venerabile e sacro, dal Senato. In questa occasione l'imperatore dichiarò tutto il mese di agosto Feriae Augusti,
le vacanze di Augusto, visto che questo includeva molte feste religiose, la più importante delle quali era la festa di Diana, che cadeva il 13.
Il termine Augusto derivava alle origini dalla denominazione della Grande Madre siriana Atargatis, detta
"l'Augusta", cioè la più grande, la più sacra, la Dea con la corona turrita che si ergeva in piedi poggiando fieramente su due leoni.
Sembra che nel 21 a.c. le Feriae Augusti mutarono nome in FERIAE AUGUSTALES, riunendo in un unico festeggiamento tutte le feste del mese. Da allora i raccolti sarebbero stati
dedicati all'imperatore quale garante degli approvvigionamenti, non solo dei romani in genere, ma dei poveri che ricevevano gratis il grano e l'olio.
FERIAE AUGUSTI (Ferragosto) Dall'1 al 31 agosto.
Le Consualia
AUGUSTO
Le feste poste tra il 15 e il 21 agosto si celebravano in Roma in onore del Dio arcaico Consus, Dio delle messi, protettore dei raccolti e quindi dei granai e degli approvvigionamenti. Come
divinità della terra, ad esso era consacrato un tempio ipogeo, sotterraneo, dell' VIII sec. a.c., in cui si lasciava entrare la luce solo in questo periodo e nei Consualia di dicembre, quando
ricorreva di nuovo la sua festa.
In quella occasione avvenne il ratto delle donne sabine, e sin dai tempi di Romolo si festeggiava anche quell'evento, perchè Roma aveva assunto delle vergini, ma questo è meno credibile, perché
il costume delle sabine era molto più libero di quello delle romane, tanto è vero che per accettare la pace scrissero delle leggi a cui i romani dovevano sottostare se volevano che esse
restassero in territorio romano.
Trattavasi di comportamento rispettoso e ossequioso nei confronti delle sabine, tipo non far portare loro pesi, cedere loro il passo, non insultarle ecc.
La Dea Consiva
Ma la Dea Opi, anche detta Ops o Openconsiva era in realtà l'antica Dea Madre Consiva, Dea primigenia e sabina, introdotta a Roma da Tito Tazio. La Dea era collegata alla natura e fece un figlio
senza avere marito e rimanendo Vergine (come tutte le Dee Madri, da qui la Verginità della Madonna), poi la Dea sposò il figlio e regnò con lui, e anche questa era la prassi che proseguiva con la
morte e rinascita annuale del figlio (da qui prese il mito la figura del Cristo) in quanto vegetazione che discendeva dalla madre e a lei ritornava.
Successivamente da divinità italica divenne romana, però associata nel culto a Saturno e a Conso, di cui era sposa, ma il Dio usurpò il suo posto, diventando la principale divinità
della natura e delle messi.
Tuttavia il culto della Dea si protrasse e alla sua protezione venne affidato il grano mietuto e riposto nei granai. Le furono dedicati due santuari, uno sul Campidoglio e l'altro
nel Foro, e in suo onore si celebravano le feste tradizionali degli Opiconsivia il 25 agosto.
A Roma Ops aveva inoltre un sacrario nella Regia, vicino alla casa delle Vestali ed alla domus publica nel Foro romano; vi potevano accedere solamente il pontefice massimo e le Vestali. Secondo
una tradizione riportata da Macrobio proprio in Ops Consiva, ma la questione era controversa, poteva essere riconosciuta la divinità tutelare segreta di Roma. Doveva restare segreta per
impedire che i nemici potessero evocarla e farle abbandonare la città da lei protetta.
DIANA
DIANA
A Roma in Agosto si concentrarono molte feste con relative celebrazioni, di cui la più importante era quella di Diana sull'Aventino. Diana era una Dea importantissima e molto seguita, ma
non tanto nell'Urbe quanto nelle campagne di tutto il suolo italico.
Nelle campagne Diana imperava come Dea dei campi coltivati e dei boschi, nonchè delle erbe selvatiche non solo mangerecce ma anche salutari, per cui veniva adorata anche come Dea della salute,
per le erbe e le sorgenti tra cui le acque curative, ma soprattutto come Dea Maga. Ne seppe qualcosa la chiesa che vide il suo culto protrarsi per oltre 1000 anni dalla proibizione dei culti
pagani, per questo condannò al rogo le streghe, perchè i segreti della cura delle erbe e della magia facevano capo a Diana e venivano trasmessi in linea femminile da madre a figlia.
Prova ne sia che Paracelso, quando nel XVI sec. volle riscoprire la medicina, ormai distrutta dalla religione cristiana che aveva abolito scuole e sapere, andò per le campagne a chiedere alle
donne, che gli rivelarono, almeno in parte, erbe e magie. Paracelso riconobbe la sapienza di alcune figure femminili che furono basilari per la sua conoscenza medica e non solo. Per lui la donna
era la matrix (matrice), nel visibile e invisibile mondo, che nasconde in sè il segreto della natura. Mentre secondo la tradizione, a partire da Ippocrate, e pure per i greci, la donna è solo il
recipiente che raccoglie il seme, per Paracelso il sentimento della donna incinta è decisivo per l'aspetto animico del figlio.
Nella festa di Diana Aventina il mondo guariva dai malanimi e dalle ingiustizie, cosicchè servi e padroni si recavano insieme al tempio sull'Aventino e poi nei boschi per un sano pic nic ante
litteram. Ragion per cui questa fu la divinità più da temere per i cristiani, perchè era la Dea dei pagus, cioè dei villaggi, e il paganesimo fu molto più duro da estirpare che non la religione
ufficiale romana delle città.
Acacia...
L’Acacia è un genere di piante della famiglia
delle Leguminose, dette anche Fabaceae, e alla sottofamiglia delle delle Mimosoideae.
In lingua italiana le piante più note comprese in questo genere sono definite mimose, mentre il termine Acacia nel linguaggio corrente si riferisce alla specie
Robinia pseudoacacia.
Ci sono approssimativamente 1300 specie di Acacia al mondo, di cui circa 960 originarie dell’Australia e
le rimanenti diffuse nelle regioni calde e a clima tropicale di entrambi gli emisferi, in Africa, nel sud-est asiatico e nelle Americhe.
L’Acacia è considerata una pianta di energia
maschile allineata con il Sole e l’elemento dell’aria. Viene utilizzato negli incantesimi legati alla protezione e al potere psichico e la resina secca viene utilizzata come base per molti
incensi; può essere combinata con legno di sandalo per realizzare un incenso di aiuto nella meditazione o se desideri comunicare con i morti. Le foglie possono essere bruciate sul carboncino
anche per aumentare il potere personale e i poteri psichici. Le foglie di Acacia sono particolarmente potenti quando si tenta di
contattare i morti e dovrebbero essere strofinate su candele bianche ma non indossate sul corpo durante tale lavoro. L’Acacia simboleggia l’aldilà. L’Acacia è associata a Osiride, Ra e Diana.
Gli antichi egizi realizzavano corone funebri di foglie di Acacia e gli ebrei piantavano un rametto di Acacia sempreverde per segnare la tomba di un amico defunto.
L’Acacia è anche venerata dagli dei e dalle dee
egizie poiché si ritiene che i primi dei siano nati sotto i suoi rami a Heliopolis. La poppa della barca celeste di Ra era realizzata in legno di Acacia ed era sacra alla Dea Iside.
Gli antichi egizi usavano l’Acacia del Nilo per
l’illuminazione e per parlare con gli dei. La loro guida spirituale non era Hathor o Iside, ma Osiride. Osiride fu il primo dio a nascere da sotto l’albero di acacia, nelle loro credenze, e tutto
il resto seguì. La leggenda al giorno d’oggi è che lo spirito di Osiride è in ogni albero di acacia sul Nilo… anzi, in tutti gli alberi di acacia.
Se desideri diventare un leader spirituale potresti modellare una bacchetta di legno di Acacia poiché si pensa che aumenti la integrità, autorità e
fiducia; tutto ciò di cui avrai bisogno per svolgere questo ruolo.
Puoi usare le foglie di Acacia immerse
nell’acqua santa fatta in casa per cospargere il tuo altare o qualsiasi altro oggetto che desideri consacrare.
Achillea...
“Coglierò la bella
Achillea Quella più benigna
sarà la mia faccia. Più calde saranno le
mie labbra, Più casta sarà la mia
parola. Siano la mia parola i
raggi del sole, Sia le mie labbra la
linfa della fragola. Possa io essere
un’isola nel mare, Possa io essere una
collina sulla riva, Possa io essere una
stella al tramonto della luna, Possa io essere un
bastone per i deboli. Ferire posso ogni
uomo, Ferire nessuno può
me!”
L’Achillea (in francese Achillées, in inglese Yarrow o Milfoil) è un genere di piante che comprende diverse specie, che si distinguono anche per le differenti
taglie. Solitamente i fiori sono disposti in capolini e sono di colore bianco-rosato. Tipica delle zone temperate, è facile trovarla nelle zone miti dell’Europa, Asia e nord
America. L’Achillea deve il suo nome al mitico Achille. La leggenda racconta che, quando venne colpito mortalmente a Troia dalla freccia avvelenata di
Paride, la dea Afrodite l’abbia amorevolmente curato con questa pianta magica, che da allora fu considerata il rimedio per eccellenza contro le ferite da arma bianca.
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Un’altra storia narra, che Achille imparò le proprietà curative dell’Achillea dal centauro Chirone,
che la usò per curarlo, dopo che sua madre cercò di bruciarlo vivo, perché era lo sfortunato settimo figlio. Achille in seguito usò l’Achillea per curare Telefo, il genero del re Priamo, che inciampò in una
vite e fu ferito accidentalmente da Achille. Achille grattò un po’ di ruggine dalla sua lancia e dalla ruggine crebbe l’Achillea, che usò per
curare le ferite di Telefo. Essa è una delle piante medicinali più antiche del mondo, utilizzata fin dall’antichità.
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È straordinariamente dotata nell’aiutare qualsiasi cosa e tutto ciò che potrebbe affliggere la
mente, il corpo e l’anima. L’Achillea è stata trovata tra le altre erbe medicinali, in un sito di sepoltura di Neanderthal in
Iraq, che risale al 60.000 a.C. circa. Dato questo lungo uso storico, che include anche l’uso tradizionale nell’Ayurveda, nella medicina
cinese e nella medicina dei nativi americani, c’è molto folklore associato a questa meravigliosa erba. Un rimedio antico specifico dice di estrarre le foglie dalla pianta con la mano sinistra, mentre si
pronuncia il nome della persona malata.
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In contrasto con le sue proprietà curative, un tempo si pensava che l’Achillea portasse la
malattia, guadagnandosi il nome di “Madre-muore” e “Pianta della Febbre”. Inoltre, si pensava che l’Achillea causasse epistassi, il che contraddice la sua reale natura di
coagulazione del sangue. Infatti, secondo il libro “Flora Scotica: Or, a Systematic Arrangement, in the Linnæan Method, of
the Native Plants of Scotland and the Hebrides” di John Lightfoot, dal 1777, “La gente comune per curare il mal di testa a volte ne infila una foglia nelle narici, per far sanguinare il
naso”.
Fata dell’achillea di Cicely Mary Barker
Fino alla prima guerra mondiale, l’Achillea è stata utilizzata per il trattamento delle ferite, da
cui i nomi comuni dei soldati “erba ferita” e “erba fedele”. Era anche chiamata “ortica del diavolo”, perché si credeva fosse usata in incantesimi e rituali
malvagi. Nonostante questa iniziale connotazione negativa, l’Achillea è spesso usata per proteggere, essendo
appesa sopra le porte o nella culla di un bambino, per tenere a bada il male. In Cina, gli steli di Achillea venivano usati per risvegliare le forze spirituali della mente
superconscia, durante la divinazione rituale usando l’ I Ching .
L’Achillea, come energia dell’amore, dirige la sua azione anche verso il cuore, dimostrandosi
particolarmente efficace quando viene utilizzata insieme alla menta romana; unite le forze di questi elementi chiave, non esiste miglior rimedio, per cicatrizzare le ferite spirituali di un’anima
o di un cuore infranto da una rottura amorosa, una delusione o una perdita importante. Si dice, che bere un infuso di queste due piante, tre volte al giorno, aiuti moltissimo a vivere
questi sentimenti dolorosi con serenità ed equilibrio, evitando la depressione e i problemi nervosi che spesso comportano. In generale, la sua energia stabilizzatrice permette di affrontare con forza, coraggio e dignità le
situazioni più difficili e traumatiche.
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Nel Medioevo, le dame di corte lo consigliavano quale infallibile rimedio ai giovani innamorati,
che non riuscivano a trovare il coraggio e la serenità per dichiararsi alla donna amata. Paradossalmente, in magia l’Achillea è considerata sia negativa, usata negli incantesimi malvagi,
che positiva nello scongiurarli… Anticamente si pensava che, spargendone i petali sull’uscio di casa, nessuna strega sarebbe stata
capace di entrarvi. Alla vigilia di San Giovanni (24 giugno), gli Irlandesi erano soliti appendere mazzi di Achillea,
per allontanare la malattia e disperdere gli spiriti malvagi e, in molti luoghi si tenevano sempre appesi all’entrata di casa, per protezione.
Se si doveva viaggiare, si dovevano prendere 10 gambi di Achillea, tenerne 9 e gettare il decimo
(per “decimare” gli spiriti). Poi, si dovevano mettere i 9 sotto il tallone destro: solo così gli spiriti avrebbero avuto nessun
potere sul viaggiatore.
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Un rituale britannico suggerisce che, se stai cercando un partner, devi cucire 30 gr. di fiori di
Achillea in un sacchettino di flanella, e metterlo sotto al cuscino prima di andare a dormire, dopo aver pronunciato la seguente formula, atta ad attirare la persona dei tuoi sogni:
“Tu, graziosa erba
dell’albero di Venere, il tuo vero nome è
Achillea! Ora, chi deve essere
il mio amico del cuore, Ti prego di dirmelo
domani!”
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Un’altra forma di divinazione prevede di distendersi in un campo di Achillea, chiudere gli occhi e
pronunciare:
“Buongiorno,
buongiorno Achillea! Ti prego, fammi
vedere, oggi o domani Il mio vero
amore!”
Quindi ci si siede, si aprono gli occhi e si guarda in ogni direzione. La prima persona visibile, quel giorno o il successivo, sarà quella destinata come partner per
tutta la vita.
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Appendere un fascio di fiori secchi di Achillea sul letto della luna di miele, è un rito
tradizionale per garantire un matrimonio lungo e amorevole, che duri almeno 7 anni. Se stai cercando di ristabilire un contatto con amici o parenti perduti da tempo, incorpora
l’Achillea nei tuoi incantesimi, per attirare la loro attenzione su di te. Portare con te fiori di Achillea, ti aiuterà a darti coraggio e a dissipare la
paura. Una piccola borsa con un ciondolo con Achillea potrebbe essere utile, prima di tenere un discorso o
andare a un colloquio di lavoro. Usalo per dissipare la malinconia, l’energia negativa, il dolore persistente o la
depressione. Trasportata in una bustina o come amuleto, respinge o elimina le influenze negative. Aiuta nella divinazione. L’Achillea veniva anche usata prima del luppolo, nella produzione della birra. E’ apprezzata principalmente per la sua azione contro il raffreddore e l’influenza, e anche per il
suo effetto sui sistemi circolatorio, digerente e urinario. Buon rimedio per il raffreddore, apre i pori e purifica il sangue. E’ utile anche come lavaggio dei capelli, per prevenire la calvizie. I fiori, ricchi di sostanze chimiche, vengono convertiti dal vapore in composti
antiallergici.
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Sono anche usati per vari problemi di muco allergico, compreso il raffreddore da fieno e asma
lieve. L’Achillea è stata usata anche come alimento ed era molto popolare come verdura nel XVII
secolo.
Si dice che le foglie più giovani siano piacevoli se cotte come spinaci o in una zuppa. Il sapore dell’Achillea è dolce con un leggero retrogusto amaro. L’Achillea è utilissima nell’attirare api, vespe e farfalle benefiche. Contiene secrezioni
radicali, che rafforzano e proteggono le piante che ha intorno, aiutandole anche a diventare più resistenti alle malattie. E’ ricca di oli essenziali, che aiutano anche a tenere lontani i parassiti nocivi con i suoi
potenti fitochimici aromatici. Questa pianta è eccellente per legare insieme il terreno sciolto e prevenire l’erosione,
dimostrandosi anche una meravigliosa pianta da compagnia nel giardino, aiutando a co-creare un ecosistema molto sano.
(dal web )
L’anice stellato (Illicium verum) è una pianta sempreverde originaria della Cina e del Vietnam. Con i suoi frutti a forma di stella, questa pianta
affascinante è rinomata per le sue proprietà aromatiche. Cresce in climi umidi, fiorisce in primavera e i suoi frutti maturano in autunno.
La storia dell’anice stellato risale a secoli fa, quando veniva ampiamente utilizzato per scopi medicinali e culinari. In Cina, era considerato un rimedio per i disturbi digestivi e un tonico
generale. Durante le dinastie Ming e Qing, veniva utilizzato per aromatizzare tè e liquori.
L’anice stellato ha anche un legame con la magia e il misticismo. In antiche culture, era considerato un talismano di protezione e buona fortuna. Nel Medioevo, veniva bruciato come incenso per
purificare l’ambiente. Oggi, continua ad essere utilizzato in pratiche spirituali, per l’equilibrio dei chakra e la meditazione.
Indice dei contenuti
Proprietà magiche
L’anice stellato è una pianta affascinante che offre una serie di proprietà magiche. Le sue stelle a forma di stella sono state associate a diverse credenze e pratiche spirituali nel corso dei
secoli. Esploriamo le tre principali proprietà magiche dell’anice stellato.
Protezione – L’anice stellato è ampiamente conosciuto come un potente talismano di protezione. La sua forma a stella è
considerata un simbolo di equilibrio e armonia, e si crede che crei un campo energetico protettivo intorno a chi lo possiede. Le stelle di anice stellato possono essere indossate come amuleti
o poste in luoghi specifici per allontanare le energie negative e respingere gli spiriti maligni. La pianta è spesso utilizzata per creare incantesimi di protezione, per sigillare e
proteggere gli ambienti o per creare scudi energetici intorno alle persone.
Purificazione – L’anice stellato ha anche una potente energia purificatrice. Bruciare le sue stelle come incenso è un modo
comune per purificare l’ambiente e allontanare le influenze negative. Il suo aroma dolce e aromatico si diffonde nell’aria, creando una sensazione di calma e serenità. L’incenso di anice
stellato può essere utilizzato in cerimonie di purificazione, meditazione o semplicemente per creare un’atmosfera armoniosa in uno spazio. Si crede che la purificazione con l’anice stellato
possa eliminare le energie indesiderate, ripristinare l’equilibrio energetico e creare un ambiente favorevole alla magia e alla pratica spirituale.
Intuizione e saggezza – L’anice stellato è associato all’espansione dell’intuizione e all’aumento della saggezza. Le sue
proprietà energetiche possono favorire la connessione spirituale, la chiarezza mentale e la consapevolezza. Si crede che l’utilizzo dell’anice stellato possa aprire i canali intuitivi e
stimolare la percezione di informazioni sottili. Questa pianta è spesso utilizzata in pratiche divinatorie, come la lettura dei tarocchi o la scrittura automatica, per favorire la percezione
e l’accesso a informazioni intuitive. L’anice stellato può essere indossato come amuleto o tenuto vicino durante le pratiche intuitive per amplificare le capacità psichiche e aumentare la
saggezza interiore.
Inoltre, l’anice stellato è conosciuto per il suo potere di favorire la comunicazione spirituale e il contatto con il regno sottile. Si ritiene che possa facilitare la connessione con le guide
spirituali, gli angeli o gli antenati. L’utilizzo di questa pianta durante le pratiche di meditazione o di comunicazione spirituale può aiutare a creare uno spazio sacro e a intensificare la
connessione con il divino.
Spesso viene combinato con altre erbe e cristalli per amplificare le sue proprietà magiche. Ad esempio, può essere utilizzato insieme all’acquamarina per promuovere la comunicazione chiara e
fluida con il regno spirituale, o con l’ametista per favorire la connessione con l’intuizione e l’alta saggezza.
Proprietà medicinali
Oltre al suo utilizzo magico, l’anice stellato possiede anche diverse proprietà medicinali. I suoi oli essenziali contengono componenti benefici che possono contribuire al benessere generale.
Ecco un elenco delle principali proprietà medicinali dell’anice stellato.
Proprietà digestive – L’anice stellato è conosciuto per le sue proprietà digestive. I suoi composti attivi aiutano a
stimolare la produzione di enzimi digestivi e a ridurre l’infiammazione nell’apparato digerente. Questo può favorire la digestione, alleviare il mal di stomaco e ridurre il gonfiore
addominale.
Proprietà carminative – L’anice stellato ha effetti carminativi, che significa che aiuta a ridurre la formazione di gas
nell’intestino e favorisce la sua eliminazione. Può alleviare la sensazione di pesantezza e il disagio causati dalla flatulenza e dai crampi addominali.
Proprietà espettoranti – Grazie alle sue proprietà espettoranti, l’anice stellato è spesso utilizzato per alleviare la
congestione delle vie respiratorie. Può aiutare a sciogliere il muco e facilitare l’espulsione, fornendo un sollievo dalla tosse e dal raffreddore.
Proprietà antinfiammatorie – Gli oli essenziali presenti nell’anice stellato hanno anche proprietà antinfiammatorie.
Possono aiutare a ridurre l’infiammazione in tutto il corpo, compresi i disturbi delle vie respiratorie e del sistema digestivo.
Modalità di utilizzo
L’anice stellato può essere utilizzato in diverse forme per beneficiare delle sue proprietà medicinali. Ecco alcune modalità di utilizzo comuni.
Infuso – Per preparare un infuso di anice stellato, aggiungere 1-2 stelle di anice stellato in una tazza di acqua bollente.
Lasciare in infusione per 5-10 minuti, quindi filtrare e bere. Questo può favorire la digestione e alleviare il mal di stomaco.
Olio essenziale – L’olio essenziale di anice stellato può essere utilizzato per massaggi o diffuso nell’ambiente. Diluire
alcune gocce di olio essenziale in un olio vettore e massaggiare delicatamente l’addome per favorire la digestione. Diffondere l’olio essenziale può aiutare a purificare l’aria e promuovere
la sensazione di calma.
Decotto – Per preparare un decotto di anice stellato, aggiungere 1-2 stelle di anice stellato in una pentola con acqua e
far bollire per circa 10-15 minuti. Filtrare il liquido e berlo come tisana. Questo può essere utile per alleviare la congestione respiratoria e calmare la tosse.
Utilizzo culinario – L’anice stellato è ampiamente utilizzato come spezia nella cucina asiatica. Può essere aggiunto a
zuppe, salse, piatti a base di carne o dolci per conferire un sapore dolce e aromatico. Tuttavia, è importante utilizzarlo con moderazione, poiché il suo sapore è intenso.
Conclusioni
L’anice stellato rappresenta una pianta versatile e affascinante. Con la sua storia ricca di magia e misticismo, e le sue proprietà medicinali ben documentate, offre un’esperienza unica che
combina il piacere sensoriale con il benessere. Aggiungere un tocco di anice stellato alla tua vita può portare un po’ di magia, sia che tu lo utilizzi per protezione, purificazione, saggezza o
per promuovere la salute e il benessere generale. Sperimenta con questa piccola stella e lasciati affascinare dai suoi molteplici benefici.
( dal web )
Legate per migliaia di anni a rituali religiosi, alla magia e ampiamente utilizzate in medicina, queste piante hanno perso oggi i loro strani poteri ma conservano le preziose qualità curative.
È la pianta magica per eccellenza, nota già ai tempi dei faraoni più di quattromila anni fa: l’artemisia era associata al culto di Iside, dea della fertilità, ed era anche efficace per mettere in fuga i serpenti.
Conosciute in molte parti del mondo, l’artemisia, l’assenzio e l’ambrosia fanno parte della grande famiglia delle artemisie (circa 300 specie), genere delle Asteraceae.
Queste artemisie hanno caratteristiche comuni: l’amarezza delle foglie e la natura oleosa dei semi, e per millenni si sono viste attribuire innumerevoli doni.
Le artemisia non erano impiegate solo nella medicina tradizionale per la preparazione di rimedi, ma erano usate per i riti di culto e le pratiche magiche.
È soprattutto l’associazione delle artemisie (come dei loro cugini assenzi) con il culto di Artemide che le rese note
in Europa, dove ebbero appunto il nome di artemisia. Come Iside, la dea Artemide era protettrice delle donne, della verginità e (secondo autori greci e romani) l’artemisia era
ampiamente utilizzata come “rimedio specifico per le malattie delle donne“.
Il ruolo delle artemisie era ben lungi dall’essere limitato alle cure mediche: gli astrologi greci avevano assegnato loro la protezione
del segno dello Scorpione e del pianeta Ares (Marte), simboli di guerra, di violenza e di eccessi.
Prescritte in medicina fin da Ippocrate, le artemisie hanno avuto molto a lungo il vento in poppa.
Otto secoli dopo, negli scritti di Pseudo-Apuleio, erano ancora considerate “buone per il
dolore ai piedi, per il dolore nella vescica, stranguria, febbre, mal di stomaco, tremori nervosi …”. Plinio nella sua monumentale Storia naturale affermava che, a condizione di essere raccolta prima dell’alba,“chi la indossa non ha nulla da temere da sostanze nocive o
da qualsiasi bestia o anche dal sole”.
Poteri magici confermati da Apuleio nel II secolo: “Se durante il cammino si porta
indosso l’artemisia, non si sente la fatica del viaggio, scaccia i demoni nascosti e neutralizza il malocchio degli uomini“.
Quando la religione cristiana prese il sopravvento, le artemisie non vennero abbandonate, anzi: l’artemisia comune (Artemisia vulgaris) divenne la pianta consacrata a San Giovanni Battista. La leggenda narra che il santo quando era nel deserto portasse una cintura
di artemisia per proteggersi dai demoni e, nonostante i divieti della Chiesa, nella notte di San Giovanni corone di artemisia (raccolta prima dell’alba) erano gettate nel fuoco per scongiurare
qualsiasi malattia per tutto l’anno successivo.
E bouquets di artemisia erano spesso appesi nelle case, per proteggerle e scacciare le epidemie.
Una cugina da eliminare
Altro membro della famiglia delle Asteraceae e vicina alle artemisie (come suggerisce il nome) è l’Ambrosia con foglie di Artemisia
(Ambrosia artemisiifolia L.), riconoscibile tra l’altro per il rovescio liscio e non lanuginoso delle sue foglie.
Ecco: questa pianta non è medicinale, anzi.
Il suo polline, che si diffonde ampiamente in estate, è altamente allergenico, causa di disturbi quali asma, congiuntivite, orticaria, ecc., a volte anche gravi.
A differenza dell’artemisia benefica, l’ambrosia è da evitare e distruggere.
L’amica del perfetto escursionista
Le antiche credenze in merito alla magia dell’artemisia si ritrovano fino al XIII secolo, quando il filosofo e teologo Alberto
Magno scrive: “Quando vogliamo intraprendere un viaggio facilmente e senza fatica, si porterà in mano l’erba chiamata artemisia, e se ne farà una
cintura mentre si cammina; poi che si cuocia quest’erba e che ci se ne lavi i piedi; e non ci stancheremo mai”. E aggiunge: “Chi avrà cura di avere
quest’erba sempre con se, non tema affatto gli spiriti maligni o il veleno, né l’acqua né il fuoco, e nulla lo può danneggiare”.
La fiducia nei poteri magici delle artemisie piano piano è svanita, e sono state vittime della pessima reputazione che si guadagnò l’assenzio (dalle molteplici proprietà spesso
assimilate a quelle dell’artemisia) dalla fine del XIX secolo, per i danni causati dal liquore di assenzio che poteva condurre fino alla follia o alla morte (tanto che
gli era valso il soprannome di “assassino”).
Se oggi non riconosciamo più poteri magici alle artemisie (anche se alcune credenze continuano ad attribuirle poteri di purificazione e di aiuto alla chiaroveggenza) queste piante mantengono
molti usi in medicina, a volte anche ambivalenti, un po’ come la loro “madrina” Artemide, figura femminile protettiva ma anche bellicosa guerriera.
Le proprietà terapeutiche delle Artemisia
Le artemisie contengono principi attivi sia nelle loro parti esterne (foglie e fiori) che nell’olio essenziale contenuto nei loro steli.
Sono utilizzate sia per via interna (tisane, capsule, polveri) che esterna per frizioni, spesso a base del loro olio essenziale.
Uno degli usi principali ereditato dall’antichità e che continua ancora oggi riguarda i disturbi femminili: emmenagoghe, le
artemisie alleviano molti di questi disturbi, per tenendo conto che possono essere abortive.
Sempre per via interna poi trattano i dolori gastrici e viscerali, stimolano la secrezione del succo gastrico e
hanno proprietà vermifughe (sempre con moderazione, visto che dosi eccessive possono essere tossiche).
Altri usi poi ricordano le vecchie credenze, come i pediluvi a basi di infusione, che dovrebbe togliere la fatica
(ricordando la promessa di Alberto Magno) e anche se oggi appendere mazzi di artemisia nelle abitazioninon serve più per scacciare i demoni, certo, mette in fuga gli insetti.
Accanto alle applicazioni che se ne fanno in Europa, le “erbe di fuoco” (altro nome delle artemisie) sono molto usate
nella medicina tradizionale asiatica nell’antica pratica della moxibustione, ormai ben conosciuta anche in Europa, che avviene con
piccoli coni o bastoncini di artemisia secca, i moxa, riscaldati e applicati su specifici punti di agopuntura. Le proprietà
toniche e stimolanti dell’artemisia sono tenute a rafforzare l’azione degli aghi, e i moxa scaldano senza bruciare.
L’Artemisia Annua si è rivelata efficace (a titolo curativo e non preventivo) contro forme gravi di malaria,soprattutto contro il Plasmodium
falciparum, che in molti luoghi è diventato resistente ai farmaci convenzionali: un’alternativa semplice alla portata delle popolazioni sottoposte a questo flagello. Buoni
risultati si ottengono con le cure in forma di tisane da utilizzare al momento delle febbri: bollire 1 litro di acqua e aggiungere 10 g di foglie essiccate, bere nel corso della
giornata. Si raccomanda di bere 1 litro al giorno di questa infusione per 5 giorni.
L’Artemisia dracunculus (estragone) in olio essenziale è un buon stimolante digestivo, aperitivo, antidolorifico e antispasmodiconeuromuscolare. In applicazione locale, diluirne 3 gocce in 1 cucchiaino di olio vegetale e massaggiare la zona interessata.
Milano, 13 febbraio 2015. Alcuni siti Internet stanno diffondendo la notizia che l’Artemisia Annua può essere utilizzata efficacemente nella cura contro
il cancro. Stiamo parlando di una piccola pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Asteraceae, originaria della provincia di Hunan in Cina. Com’è noto, la Rete contiene una grande mole di
informazioni mediche, non sempre affidabili sia dal punto di vista della correttezza clinico-scientifica sia da quello dell’indipendenza delle fonti. Gli articoli online sull’Artemisia Annua
hanno suscitato in molti pazienti oncologici nuove speranze di guarigione, tanto che alcuni di loro si sono rivolti ai medici dell’Istituto per avere informazioni aggiornate sulle proprietà
terapeutiche di questa erba, frettolosamente e incautamente presentata come “magica”. Facciamo un po’ di chiarezza su questo argomento.
In merito all’utilizzo dell’Artemisia Annua come farmaco antitumorale, si può dire con certezza che, in esperimenti in vitro, uno dei suoi principi attivi, l’artemisinina e i suoi derivati, hanno
dimostrato un effetto tossico sulle cellule tumorali e che questa classe di farmaci è utilizzata come trattamento della malaria con un profilo di tossicità estremamente favorevole. Alcuni
ricercatori dell’Istituto Nazionale dei Tumori sono direttamente coinvolti nella valutazione di un altro principio attivo dell’Artemisia Annua, la diidroartemisinina, e del suo ruolo
antineoplastico valutato per ora sempre su modelli preclinici: i risultati sono convincenti ed è in corso di preparazione una pubblicazione scientifica.
In merito all’uso clinico i dati disponibili in letteratura sono limitati a un solo studio cinese in pazienti affetti da tumore del polmone “non a piccole cellule” che ha confrontato l’utilizzo
di chemioterapia (cisplatino e vinorelbina) in combinazione o meno con artesunato (un derivato semisintetico dell’artemisinina) e qualche “case report” con diversi preparati e vari dosaggi, in
combinazione con differenti trattamenti chemioterapici in neoplasie con varia eziologia. Lo studio cinese, purtroppo, non ha dimostrato che l’aggiunta di artesunato modifichi la durata della
sopravvivenza dei malati e i “case report” sono molto difficili da interpretare e hanno scarso valore per la generalizzazione di una cura. In pratica, a oggi non esistono studi clinici che
possano darci informazioni di quello che l’Artemisia Annua e i suoi derivati producono nell’uomo, sia come tossicità sia come efficacia antineoplastica.
In sintesi, per informare correttamente i cittadini e i pazienti, al momento attuale possiamo dire che:
i modelli preclinici ci fanno considerare artemisinina una
molecola promettente in patologie selezionate;
l’emivita di questi farmaci (ovvero la “sopravvivenza” del principio attivo all’interno dell’organismo) è molto
breve, al punto che come farmaco antimalarico è necessario somministrarlo in combinazione a un altro trattamento perché sia effettivamente efficace;
la dose utile come farmaco antineoplastico nei modelli in vitro è molto superiore a quella utilizzata nei
preparati antimalarici;
i diversi preparati di Artemisia Annua hanno diverse emivite e diversi profili di distribuzione e
tossicità; non sappiamo quale sia la vera percentuale del principio attivo presente nelle differenti formulazioni di Artemisia Annua disponibili online o nelle erboristerie;
non esistono studi clinici validi che dimostrino l’efficacia e la sicurezza di questi preparati nell’essere
umano.
Detto in parole semplici, non conosciamo ancora che tipo di prodotto scegliere, quale dose abbia una risposta antitumorale nell’uomo e con quali effetti collaterali, dunque siamo ancora lontani
dal poter affermare con certezza che l’artemisinina e i suoi derivati siano utilizzabili con sicurezza nell’uomo e veramente utili nel trattamento dei tumori.
Queste sono le ragioni per cui nessun medico oncologo e ricercatore può consigliare una dose, un preparato specifico e una schedula di somministrazione dell’Artemisia Annua che possa essere, su solide basi scientifiche, efficace e sicuro. Inoltre, le interazioni con alcuni farmaci biologici o chemioterapici non sono
completamente note quindi si sconsiglia vivamente, ai pazienti che fossero in trattamento con terapie standard, l’assunzione di parafarmaci o prodotti erboristici a base di Artemisia Annua senza
informare i medici curanti. Esistono invece molte opzioni di cura nell’ambito di sperimentazioni cliniche già in corso presso l’Istituto Nazionale dei Tumori con farmaci promettenti, ma anche in
questi casi bisogna essere coscienti che il concetto di sperimentazione, se da una parte rappresenta una speranza, dall’altra implica un’incertezza e non una sicurezza.
L'artiglio del diavolo...
L’artiglio del diavolo è una pianta originaria del Sud Africa. Il nome deriva dal greco “harpago”: rampino, poiché i frutti sono provvisti di
uncini. Tali uncini si agganciano alle zampe degli animali, che, agitandosi per i forti dolori provocati, sembrano indemoniati: da qui, il nome comune di artiglio di drago.
Conosciuta e apprezzata da molto tempo dalla popolazioni indigene africane per le sue proprietà salutari, è stata portata in Europa soltanto all’inizio del secolo, grazie a un medico tedesco. Gli
studi condotti hanno confermato le sue qualità e un alto potere antinfiammatorio.
Proprietà salutari ed utilizzo
L’artiglio del diavolo ha un’efficacia antinfiammatoria paragonabile a quella del cortisone, senza provocare i danni di quest’ultimo. E’, inoltre,
un potente antiartrosico, antiartritico e antireumatico. Viene utilizzato nei casi di osteoartrosi, reumartriti, artrite reumatoide e reumatismi; nei casi di ipercolesterolemia,
ipertrigliceridimia e iperglicemia; nelle insufficienze epatobiliari e nel diabete.
Non assumere in gravidanza.
Come potente antinfiammatorio: 20 gocce di tintura madre dopo i due pasti principali. Tisana: 35 grammi di betulla, 35 grammi di olmaria e 45 grammi di artiglio del diavolo: si prende un cucchiaio di queste erbe miscelate e lo si lascia
per 10 minuti in una tazza di acqua bollente, poi lo si filtra: se ne può consumare una tazza dopo il pranzo e dopo la cena.
Usi magici
La tradizione magica indica l’Artiglio del Diavolo tra i componenti di tutte le pratiche di legamento, d’amore e di protezione occulta (esorcismi,
contro fatture, etc…). La pianta è posta sotto l’influenza di Marte e di Saturno.
Biancospino...
Oggi, mentre lavoravo nell’orto, una folata di vento ha portato l’aroma inconfondibile del biancospino in fiore, che ha pervaso
l’aria tutt’intorno. E nella siepe vicina che cinge il campo a Nord intravvedo qua e là i suoi bianchi fiori. Sarà per questo intenso profumo, sarà che in effettil’arbusto è così spinoso da offrire sicuro rifugio a piccoli mammiferi e uccelli che vi nidificano indisturbati, sarà che assieme al prugnolo e alla rosa
canina, forma siepi intricate e spinose che proteggono e riparano campi e case serrando l’accesso a chiunque…oppure sarà per i suoi delicati fiori bianchi che al momento dell’antesi risplendono
di bellezza, grazie alla coroncina di stami centrali con le antere rosate, o sarà per i suoi frutti, delle drupe rosse che lo adornano in autunno e che forniscono cibo agli uccelli
stanziali…comunque sia il Biancospino è tradizionalmente considerato una pianta di grande protezione. Secondo la tradizione greca i suoi rami in fiore erano impiegati per adornare gli altari e
per fare ghirlande; a Roma veniva chiamato “alba spina” , impiegato per adornare gli altari durante i riti nuziali, ma anche usato per il magico potere che gli
veniva attribuito, grazia all’analogia delle aguzze spine segno di protezione e tutela, e per questo era messo sulle culle dei neonati per proteggerli. Legato da sempre alle antiche divinità
femminili come Artemide, Flora (la madre dei fiori e divinità della Primavera per i Romani), Cerere, Carna e Maia (la Madre Terra dei Romani), e in
seguito, come avviene puntualmente nella trasposizione dei riti e delle divinità da religione a religione, nel cristianesimo diviene il simbolo della Vergine Maria. La leggenda racconta che la Madonna, mentre scappava in Egitto con il bambin Gesù, si addormentò riparata e protetta tra i rami di un arbusto spinoso, e quando al
mattino si svegliò la pianta era coperta di una miriade di piccoli fiori bianchi a stella, profumatissimi…era il Biancospino. Il suo uso magico si è protratto indiscusso nei secoli, tanto che era
impiegato per adornare il palo di maggio e garantire così protezione e prosperità, attorno al quale si danzava secondo riti propiziatori per assicurarsi fertilità. Ancor più presente è nella
tradizione celtica, dove è chiamato “Huath” che significa terribile, ad indicare il timore reverenziale verso ciò che possiede un’energia molto potente: infatti era considerato la dimora segreta delle fate, degli spiriti del bosco e delle entità che abitano il mondo verde; queste erano giocose e benevole se
trattate con rispetto, ma anche terribilmente dispettose verso coloro che non le riconoscevano o peggio ancora, che le offendevano. Per questo il biancospino era molto onorato ed era
assolutamente vietato abbatterlo. Nelle tradizioni celtiche il biancospino è tutt’ora impiegatonei
riti di celebrazione di Beltane ed ha un interno giorno a lui dedicato: il 13 maggio, “ il giorno del biancospino”.Anche in questo caso sono le sue
spine a conferirgli per analogia la capacità di protezione, tanto da essere ritenuto l’albero che protegge dall’inferno.
In Inghilterra pare ci sia ancora il Biancospino piantato da Giuseppe d’Arimatea (il membro del sinedrio che si rifiutò di condannare Gesù). La leggenda racconta
che Giuseppe, dopo aver raccolto il sangue di Cristo ed averlo sepolto, partì per la Britannia e una volta giuntovi piantò il suo bastone per terra: il bastone germogliò dando vita ad una pianta
di biancospino, e proprio accanto a quella pianta Giuseppe d’Arimatea decise di edificare la prima Chiesa. Da allora quel biancospino fiorisce nel periodo natalizio a rappresentare l’immacolata
concezione nei candidi fiori, il sangue di Cristo negli stami, e la corona di spine nei suoi rami.
Una pianta che evoca quindi purezza, protezione, amore e forza, la stessa forza che troviamo nella radice etimologica del nome generico: dal
termine greco Kratos che significa appunto forza. Amore e forza ribaditi
anche nelle segnature planetarie che vedono il Biancospino legato a Venere per la dolcezza dei fiori e l’effetto calmante
sul cuore, ma anche Marte per le spine aguzze e per i frutti rossi come il sangue.
dal web...
La calendula...
Ti auguro di avere la possibilità di trovarti in un prato di calendule per poter sentire quel sostegno amorevole che dai fiori aperti come piccoli soli e
giallo arancio come il colore di certe tuniche di monaci buddisti, pervade il cuore donando una pacifica gioia quasi estatica. Raccoglierne i fiori è già una cura inebriante, che calma, dona
serenità e allieta il cuore, e che tra l’altro possiamo fare senza sensi di colpa perché più fiori raccogliamo più ne prolunghiamo la fioritura. Proprio quei fiori che secondo il mito greco erano le lacrime di Afrodite disperata per la morte del giovane Adone.
Ci sono 2 specie di Calendula utili: quella selvatica Calendula arvensis, e quella coltivata Calendula officinalis.
Calendula arvensis, come suggerito dal nome specifico, predilige terreni arati (arvensis deriva da arvum cioè campo, suolo arato). E’ una erba termofila, molto comune al sud e al centro Italia
mentre al nord cresce in pendii, vigne, campi lavorati, margini assolati di sentieri, in quei piccoli microclimi protetti alla base di marciapiedi o di sassi, dove ci sia un terreno per diversi
motivi nudo (perché lavorato, perché, bruciato o perché diserbato). Mentre al sud forma fitti tappeti in fiore durante il periodo più freddo, dalle nostre parti inizia a fiorire a marzo e
continua per qualche settimana finché il clima non divenga troppo caldo e siccitoso. Il nome calendula deriva da Calende a indicare che fiorisce
praticamente tutto l’anno (nell’areale mediterraneo da cui trae origine il nome), anche se in genere mal tollera i geli invernali e la siccità estiva per cui a volte è annua. Quando la raccolgo
mi ritrovo nel giro di poco tempo ad avere le mani appiccicose e impregnate del suo intenso odore….è l’effetto della resina aromatica che è secreta dalla pianta e che emana un caratteristico
aroma acre e intenso, quasi in contrasto con la apparente delicatezza dei fiori. I fiori sono dei piccoli capolini (appartiene alla famiglia delle composite o asteracee) con i fiori centrali
tubulosi a cui fan corona attorno quelli ligulati. Fioriscono al mattino è già a mezzogiorno iniziano a chiudere le corolle, per poi riaprile il mattino successivo. La calendula arvensis ha fusti ramificati, arcuato-ascendenti o eretti e cosparso di peli, alti da 10 a 50 cm al
massimo. Ha piccole foglioline ovali verde chiaro alterne e di forma oblanceolato-spatolata
La calendula coltivata (Calendula officinalis) ha fiori, fusto e foglie più grandi e robuste; il fusto è ramificato,
carnoso; i capolini sono grandi 3-5 cm, costituiti da 35 a 400 fiori femminili ligulati alla periferia disposti in densa corona generalmente in due
serie, e da fiori tubulosi maschili al centro a costituire un disco piano. I petali dei fiori ligulati assumono tonalità graduali dal giallo zolfo al giallo scuro e talvolta all'arancione.
Anch’essa è mediterranea, in senso ancor più limitato rispetto all’arvensis, ma che troviamo spesso nei giardini, riprodursi di anno in anno dai semi e
talvolta bienne, se non addirittura pluriennale (a seconda del clima). I Romani la chiamavano solsequium =
che segue il sole, poiché i fiori sbocciano quando il sole splende e sono sempre rivolti verso di esso. Nei testi medievali è citata come solis
sponsa(sposa del sole). Viene chiamata anche
fiorrancio per il suo acceso colore arancione.
Impiegata fin dai tempi antichi, in Ayurveda la Calendula è simbolo di guarigione, usata come vulnerario, antispasmodico, su ferite non troppo profonde, come
collirio, per lenire le punture di insetti e per aiutare in caso di disturbi digestivi. Nella Medicina Tradizionale Cinese (MTC) è utilizzata per mantenere ed aiutare la salute della pelle e per
stimolare il microcircolo. Nella Medicina Tradizionale Mediterranea è considerata calda e secca, in grado di astringere e pulire, utile quindi come
cicatrizzante, e inoltre per alzare il Calore naturale, scacciare la Malinconia e rafforzare il cuore; impiegata sull’apparato genitale femminile e polmonare dove fluidifica i muchi viscosi,
toglie l’infiammazione intestinale e cura la diarrea. Nella tradizione delle culture dei Nativi Americani è impiegata per alleviare i disturbi dello
stomaco
Ildegarda di Bingen (la santa guaritrice, compositrice e filosofa vissuta in Germania nel 1100 ) scriveva: “La calendula
è fredda e umida, contiene molta viridità ed è efficace contro il veleno. Chi ha ingurgitato qualcosa di velenoso o gli è stato introdotto, cuocia la calendula nell'acqua e dopo aver tolto
l'acqua con la pressione la ponga calda sullo stomaco. Questo rende il veleno debole ed esso verrà rigettato, perché la forza e freschezza della viridità della calendula scioglie il
veleno”.
Nicholas Culpeper, un botanico ed astrologo del XVII secolo, scrisse il succo mescolato con l’aceto poteva essere usato come impacco per la pelle e per il cuoio
capelluto e ne consigliava l’infuso per il beneficio al cuore.
La segnatura planetaria della calendula è sia Sole (che troviamo nella forma e colore dei fiori e nell’aroma ricco di olio essenziale), quindi protezione, luce,
calore, sia Luna, quindi acqua, ciclicità ormonale femminile, organi riproduttivi…e a ben guardare i semi assomigliano a falce di luna (tra l’altro lungo il lato esterno hanno piccoli uncini che
permettono ai semi di aderire al dorso di formiche che così possono trasportarli e diffonderli lontano dalla pianta madre).
(dal web...)
La cannella...
La cannella è originaria dell’antica ceylon, ed è estratta dai rami di un cespuglio chiamato zeylanicum.
I suoi rami, una volta tagliati, si lasciano asciugare e finiscono formando i famosi “tubetti” aromatici che conosciamo con il nome di cannella.
Nel mondo occidentale la cannella gode di una lunga tradizione soprattutto nel suo uso culinario. Tuttavia, la cannella è stata spesso usata come incenso, o in candele aromatiche. In
aromaterapia, questa spezia è nota per aver risvegliato un elevato stato di pace interiore e di relax.
La cannella è anche conosciuta come afrodisiaco, incoraggiando l’appetito sessuale ma, a differenza di altri stimolanti, la cannella porta un tocco di morbidezza e dolcezza.
Grazie a queste proprietà la cannella è molto usata nei rituali magici d’amore.
La cannella è anche eccellente se vogliamo entrare in uno stato di pace e relax. Ecco perché trasmette calma al corpo e ai sensi, aprendo le porte ai sentimenti piacevoli come l’amore.
La cannella è molto usata nei rituali d’amore e dei soldi.
In questa materia è una delle piante più importanti, poiché ha la facoltà di addolcire le relazioni personali e di fornire tale tranquillità e connessione fondamentali per il rapporto. E ‘ un
apri strade naturali.
La cannella macinata o in ramo, in sacchetti magici o in ricette di cucina per innamorarsi. Gli usi magici di questa spezia sono molto diversi ed efficaci. Conoscendo i benefici di questa pianta
non dovrebbe mai mancare nei vostri rituali di magia domestica. Pianta curativa:
La cannella è la seconda corteccia di un albero chiamato canelo che viene coltivata nel ceylon e in altri paesi caldi.
Come pianta curativa, la cannella serve ad alleviare indigestione, spasmi e diversi tipi di disordini emotivi. Per l’uso medicinale di questa pianta, si preparano tinture madre, come segue: si
prendono dei rami, vengono tagliati a pezzi e vengono lasciati in macerazione per 15 giorni in mezzo litro di alcool.
Usi antichi:
L’ olio di cannella era usato dagli antichi ebrei come componente di una miscela di oli per ungere. Le foglie dell’albero si intrecciavano sotto forma di corone e venivano utilizzate per decorare
importanti templi romani. Gli egiziani usavano questo olio per i processi di mummificazione.
Fumo di spezie:
La cannella può essere usata anche bruciandola ( rami) come un bastoncino di incenso, dato che genera alte vibrazioni spirituali, abbondanza e successo personale. Inoltre allontana le cattive
influenze.
Magia con cannella:
I maghi e gli stregoni chiamano la cannella “Madre dolce”. la divinità della cannella è Afrodite, la dea greca dell’amore, da lì la popolarità di questa pianta per attirare l’amore e stimolare il
desiderio sessuale. È una specie positiva, cioè, si usa solo per fare ordini, non in rituali di taglio o contro – incantesimi. Una pratica comune è quella di usarla in sacchetti, per cui si usa
la cannella in ramo combinata con altri ingredienti.
Poteri magici:
Le qualità che sono state attribuite alla cannella nel corso della storia. Attira la spiritualità, il successo, potenza i poteri psichici e garantisce protezione. Tuttavia, il suo potere per
eccellenza è di avvantaggiare l’amore, il romanticismo, la passione e aumentare il desiderio sessuale.
In polvere:
La cannella in polvere è usata soprattutto in ricette di cucina afrodisiaca per stimolare il desiderio e l’attrazione erotica della coppia.
Semplice rituale con cannella per attirare denaro:
Buccia secca di un’arancia.
Cinque rametti di cannella.
Un litro di acqua minerale senza gas.
una candela o un velones verde.
Far bollire la cannella con la buccia d’arancia nel litro di acqua minerale. Lasciarla in ebollizione per qualche minuto e lasciate raffreddare, mettete questa acqua in uno spruzzino e
nebulizzare in tutte le stanze della casa con la candela accesa in mano.
Se avete un negozio o ufficio fatelo anche lì.
Mentre nebulizzate ripetete per ogni stanza : ” Signore, aiutami in questo momento per progredire nella vita e per far aprire le mie strade. Dammi quella perseveranza che mi serve per raggiungere
i miei obiettivi. Così sia, perché questo è il mio desiderio “.
La candela la lasciate accesa nella camera principale della casa per un’ora e, quando la volete spegnere, non soffiare, fatelo con un ammortizzatore di candele, con le dita o con un cucchiaino da
tè.
Bagno con cannella per l’amore:
Cosa serve?
una tazza di acqua minerale.
tre cucchiai di miele.
tre cucchiai di cannella in polvere.
tre gocce del vostro solito profumo.
1 CANDELA ROSA (preferibilmente cero dedicato a don Giovanni Dell’amore)
incenso al sandalo.
Come fare?
Questo rituale, come quasi tutti in cui si vuole chiedere che qualcosa cresca (in questo caso l’amore, la seduzione) deve essere effettuato con luna in quarto crescente, preferibilmente durante
il fine settimana. Mettete musica romantica, rilassante, seducente; accendete la candela rosa e l’incenso di sandalo.
Fatte un bagno o una doccia normale.
Prima di entrare nella doccia, dovrete preparare una pozione in una ciotola dove mescolerete acqua minerale, 3 cucchiai di miele, 3 cucchiai di cannella in polvere e 3 gocce del vostro profumo
abituale o preferito.
Finito il bagno o doccia normale, con i capelli e il corpo pulito versate la miscela dal collo verso i piedi. Lasciate che la “miscela” copra tutto il vostro corpo.
Nel frattempo, pensate alla persona che volete sedurre e chiamatela ad alta voce 3 volte. Pensate che avete un nuovo dono di seduzione, vi sentite unica / o, ineguagliabile, tutto ciò farà in
modo che lui / lei finalmente senta quell’attrazione irrefrenabile verso di voi
Lasciate che la miscela rimanga sul vostro corpo per qualche minuto, mentre la visualizzazione resta nella vostra mente.
Risciacquate con acqua pulita e ripeti questo bagno due o tre volte al mese. Vedrete come il vostro desiderio prenderà forma. La cosa più importante è mettere molta fede in questo rituali e avere
tutta la speranza e certezza che si realizzi.
( dal web )
Il cedro...
Monumentale per le dimensioni, certo, per la forma a volte curiosa, ma soprattutto per il suo ruolo simbolico. L’associazione più immediata è ovviamente quella con Sukkot, la festa delle
capanne che vede il cedro, o meglio l’etrog, in ebraico, come quel frutto colto “dall’albero buono” indicato dalla Torah come protagonista del rito.
Accanto a lui vanno branditi i ramoscelli di mirto, salice e palma, ma il frutto buono e profumato insieme mantiene il primato di perfezione e di completezza.
Tornando all’abbinamento cedro-ebrei, anche a guardare al passato più remoto pare che siano state le popolazioni
giudaiche ad avere favorito la diffusione del papà di tutti gli agrumi. I ritrovamenti archeologici non aiutano, visto
che i semi sarebbero quasi impossibili da datare, ma le ricostruzioni degli storici parlano di contatti avvenuti già diversi
millenni prima della venuta di Cristo. Anche sulla collocazione geografica botanici e antropologi si sono accapigliati a lungo senza raggiungere un accordo. In un accurato articolo
pubblicato nel 1959 su Science, The Influence of Religion on Spread of Citrus, lo studioso Erich
Isaac affronta il tema spesso sottovalutato di quanto il paesaggio sia stato modificato nei
secoli dalle esigenze religiose dei suoi abitanti e in particolare dalle migrazioni di popolazioni con riti diversi. Oggi la teoria più diffusa è che l’albero del cedro abbia fatto la sua prima comparsa nella Cina sud occidentale o nell’India del nord, passando poi alla Persia e quindi alla penisola arabica.Secondo Isaac, non andrebbe sottovalutato anche il percorso inverso, con le prime piante di cedro già presenti in Mesopotamia e nella cosiddetta
mezzaluna fertile e poi diffuse grazie a quegli scambi commerciali che solo uno sguardo miope poteva vedere a senso unico. I rapporti tra culture, confinanti o distanti che fossero,
sarebbero stati insomma molto più frequenti e vivaci di quanto si possa pensare. E anche quel frutto strano dalla scorza spessissima, la polpa minima e il profumo intenso è probabile che
viaggiasse tra i popoli con una certa facilità.
Sulle ragioni di questi scambi, si va per esclusione. Oltre alle caratteristiche del frutto, che lo rendono poco appetibile dal punto di vista alimentare, c’erano anche le difficoltà di coltivazione, con un’alta richiesta di irrigazione unita a un gran bisogno di sole e al terrore per le gelate. In più, va
ricordato che per dare frutti il cedro impiega circa cinque anni mentre la sua sopravvivenza media non supera i quindici, le sue
fronde non proteggono dal sole e il suo legno è poco interessante come materiale. Insomma, che cosa poteva avere di così interessante un frutto tanto difficile da ottenere?
La risposta sarebbe squisitamente religiosa. Se è vero, infatti, che fin dall’epoca greca se ne riconoscevano le qualità
come medicamento (e il Talumd ne indicava i benefici contro i morsi di serpente), sarebbero i suoi usi rituali a
renderlo indispensabile. Come si sia arrivati a sceglierlo come protagonista dei riti resta però in parte un mistero. Se da una parte la Torah chiede che si prenda il frutto del “buon albero”, il nome dell’etrog, non sarebbe mai
comparso nelle scritture. In compenso, affonderebbe nell’antichità il suo impiego a Sukkot. Da qui, la
deduzione che tale agrume abbia da sempre accompagnato il popolo ebraico.
Come e quando sia comparso in Terra Santa resta però un mistero. Mosaici, monete e iscrizioni risalenti alla dinastia degli Asmodei, tra il II e il I secolo a.C. ne farebbero uno dei simboli ebraici più importanti. E per quanto secondo diversi storici sarebbe comparso in
Medio Oriente solo con Alessandro Magno, secondo altri vi sarebbe arrivato già nel VI secolo a.C. dalla Persia, al termine
dell’esilio babilonese. In ogni caso, gli ebrei potrebbero avere conosciuto il cedro già durante la permanenza in Egitto,
quando il frutto rientrava nelle procedure di imbalsamazione.
Comunque siano andate le cose, nei secoli successivi, mentre con la caduta dell’Impero Romano limoni e arance cadevano in disgrazia in Italia e in gran parte del Mediterraneo, i cedri continuavano a essere coltivati proprio grazie al loro ruolo nella Festa delle Capanne. Con l’arrivo del limone e dell’arancia
amara dall’Oriente, gli ebrei ne accostarono la coltivazione a quella del cedro, riportando poi gli agrumi nel Mediterraneo nel IX secolo, epoca in cui cominciarono a
essere coltivati anche dai non ebrei. Questo, almeno, è quanto afferma Gil Marks quando parla dell’etrog
nell’Encyclopedia of Jewish Food. Leggermente diversa è la teoria abbracciata
da Erich Isaac nel già citato articolo, dove attribuisce la reintroduzione degli agrumi agli Arabi.
Indipendentemente da chi abbia riportato arance e compagni in Italia, Francia, Spagna, Nord Africa e Medio Oriente, comunque, resta il fatto che la distribuzione degli agrumi dall’anno Mille in
poi coincide con la presenza di insediamenti ebraici. La fortuna del cedro sarebbe continuata nei secoli successivi
senza particolari flessioni, finendo semmai con l’essere rinforzata sia dalle discussioni sulla sua sacralità, sia dalla difficoltà nel rinvenirne le varietà più adatte ai rituali religiosi. Che
si trattasse di un albero sacro, non ci sarebbero mai stati grandi dubbi, anche perché ci si trovava in buona compagnia,
con l’India e la Cina allineate nel considerare il cedro un frutto divino. Dall’altra, sarebbe stato proprio
per evitare parallelismi tra Sukkot e culti pagani, in particolare con quello di Bacco, che le autorità rabbiniche affermarono
l’autenticità dell’etrog contro altri frutti come l’uva o le pigne, protagoniste di altri culti del Vicino Oriente.
La bontà e bellezza del cedro risiederebbe nel fatto di presentare fiori, foglie e frutti in contemporanea, dato che, oltre
a essere un sempreverde, non ha una sola stagione di fioritura e i frutti possono restare attaccati alla pianta per più stagioni. Altro elemento positivo risiederebbe nel suo rappresentare l’uomo saggio e buono insieme, vista la coincidenza in esso tra profumo e sapore. Tra i pochi commentatori scettici nei
confronti dell’etrog come frutto sacro ci sarebbe il rabbino Leon Modena, vissuto a Venezia a cavallo tra il Cinque e
Seicento. Paradossalmente, però, proprio a lui si deve una delle sue legittimazioni più efficaci. Secondo lo studioso, la stessa
impossibilità di sapere quale frutto fosse originariamente inteso dalla Torah enfatizza l’importanza della tradizione come guida alla legge ebraica.
Risolto (si fa per dire) questo problema, resta quello della definizione del cedro kosher. Perché diventi protagonista di Sukkot, il frutto deve infatti rispondere a determinate caratteristiche,
alcune relativamente facili da individuare, altre più complesse. Al di là delle varietà, circa una dozzina, accettate dalle
autorità rabbiniche e preferite dalle diverse comunità, ci sono dei requisiti ai quali i frutti devono rispondere per poter partecipare al rituale. Una caratteristica condivisa dalle
diverse scuole è la dimensione del frutto, che deve essere almeno il doppio di un uovo di gallina, l’altra è l’aspetto
della scorza che, oltre a essere di un bel giallo intenso screziato di verde, non deve presentare imperfezioni, né macchie scure, né graffi né forellini dovuti al passaggio di parassiti. Altro elemento decisivo è
la presenza dell’ukatz, ossia del picciolo con cui era attaccato alla pianta, e del pitom, ossia della protuberanza all’estremità, ancora intatto. Questo dettaglio, però, è ritenuto solo preferibile, in quanto esistono
varietà di etrog che perdono in modo naturale il pitom durante la maturazione o che non l’hanno mai sviluppato. Se invece questo è stato tolto dopo la raccolta, l’agrume non è più
accettabile.
L’ultima caratteristica è che il frutto non sia nato da una pianta innestata, indicata con il termine murkav. Questo è il dettaglio che dà origine ai maggiori problemi, ridisegnando nei secoli la distribuzione delle coltivazioni dei cedri nei
diversi paesi. Si tratta, tra l’altro, di una indicazione risalente a tempi relativamente recenti e comunque non
talmudici, visto che sarebbe nata dalle discussioni rabbiniche del XVI secolo. Per capirne l’importanza va ricordata
la parsimonia del cedro nel dare i suoi frutti, la fragilità della pianta e la sua prospettiva di vita limitata. Per ottenere un
raccolto più generoso e farla vivere vent’anni di più è possibile innestarla in una di limone, pratica divenuta abituale
proprio dal Cinquecento, da quando cioè questo agrume si è diffuso nel Mediterraneo. Secondo i rabbini, usare per i riti religiosi un frutto ottenuto da un murkav sarebbe contrario al
precetto biblico che vieta l’innesto interspecie. Inoltre, il frutto così prodotto non sarebbe da ritenersi puro, condividendo la natura del cedro e del limone. Visto che verificare l’avvenuto
innesto sulla pianta è spesso impossibile, specie dopo che sono passati alcuni anni, sono stati così individuati dei dettagli che
fanno del frutto un vero etrog e non un murkav: la scorza non dovrà essere troppo liscia o sottile, né la polpa predominante e succosa, mentre i semi dovranno essere collocati
verticalmente, cioè paralleli all’asse del frutto.
La richiesta di cedri da regioni fredde come quelle dell’Europa Orientale e del Nord così come la ricerca del cedro perfetto ha fatto la fortuna nei secoli di diverse località costiere e isolane,
dall’Italia, con i ricercatissimi cedri calabresi, alla Grecia. Corfù, in particolare, dalla metà del Settecento è stato uno dei principali centri di produzione ed esportazione
di cedri, inizialmente presso i sefarditi e poi verso gli ebrei ashkenaziti che non potevano permettersi di coltivarli in patria. Tanto successo non ha mancato di suscitare dubbi sull’effettiva purezza dei cedri greci, tanto belli e perfetti da far sorgere il dubbio che fossero il risultato di innesti.
Passando dai precetti religiosi agli usi e costumi, in chiusura vale la pena di ricordare che accanto al principale impiego per Sukkot esiste un vasto campo di applicazioni per il cedro. Tanto
più quando, passata la festa, il frutto non può certo essere scartato come un comune rifiuto. Oltre a essere buono come alimento, trasformato in canditi, liquori o marmellate, l’etrog gode da
sempre di un valore simbolico che esce dal campo religioso per inoltrarsi in quello della magia e della superstizione. Come ricorda Michael Strassfeld in The Jewish
Holidays: A Guide and Commentary, un tempo il frutto era legato alle donne da un rapporto speciale, acquisendo valore
nella gravidanza e nel parto. A una donna che desiderava concepire un figlio si consigliava così di mordere il pitom di un etrog, mentre quella incinta che avesse mangiato il frutto dopo
Sukkot, secondo il Talmud, avrebbe dato alla luce un bambino altrettanto “profumato”, ossia “buono”. E se la mamma in travaglio poteva alleviare i dolori del parto ponendo di nuovo un pitom sotto
il cuscino, la puerpera si sarebbe ripresa più in fretta consumandone la marmellata. Una delizia buona anche per il resto della famiglia.
( dal web )
L'Erica...
’Erica è una pianta che forma dei cuscini fioriti
dato il suo sviluppo per lo più in larghezza.
È tipica delle Alpi, degli Appennini settentrionali e delle Alpi Apuane, vive a quote fino ai 2500 m sul livello del mare, in prati e pascoli, su pendii rocciosi e soleggiati e nelle zone
luminose al limitare dei boschi di conifere, ma la si può coltivare anche a basse quote per ornare fioriere o bordure. Appartiene alla famiglia delle Ericacee.
Significati dell’Erica
Il significato dell’erica cambia a seconda del colore: l’erica violacea è utilizzata come simbolo di ammirazione e solitudine, l’erica rosa è invece metafora di ottima fortuna mentre l’erica
bianca simboleggia la protezione dal pericolo. Il bocciolo è, inoltre, utilizzato nei bouquet e come ornamento durante i matrimoni, poiché simboleggia la purificazione, la fedeltà, il
romanticismo e sorte favorevole.
Morfologia e caratteristiche della pianta
L’Erica carcinina, o Erica Carnea, presenta un fusto sottile e legnoso da dove spuntano
foglioline aghiformi dal colore verde vivo, che lo ricoprono per la sua totalità. È alta fino a 40 cm ed i suoi fiori si presentano in grappoli apicali di colore rosa più o meno intenso o bianchi
le cui corolle hanno una forma che richiama una botte, formata dalla fusione dei singoli petali tra loro.
L’epiteto specifico “carnea” si riferisce al colore dei fiori simile a quello
della carne viva, ma esiste anche la sua variante “alba” nella quale i fiori sono
appunto bianchi.
Mitologia della pianta
Sulle origini dell’erica sono state inventate molte leggende e la pianta è considerata magica dall’era druidica.
È una pianta nota per la sua robustezza e la capacità di prosperare in aree secche, come i terreni rocciosi, resistendo anche a temperature estreme. Grazie a queste sue caratteristiche,
nell’antichità, fu utilizzata comunemente nella vita quotidiana per coperture, biancheria da letto, carburante e per intessere cesti, scope e corde.
I Druidi usavano scope di erica per purificare i loro altari ed è a questo, probabilmente, che si deve il suo significato di buona sorte nelle isole scozzesi. I Druidi la utilizzavano anche come
antenato del luppolo nella produzione di idromele. Essi però ignoravano che sulle foglie di erica crescesse un fungo allucinogeno il quale contribuì, forse, a rendere la bevanda così famosa.
La leggenda di Malvina
Una delle leggende più note sull’erica è di tradizione druidica e racconta la storia di Oscar e Malvina. La leggenda narra che Ossian, un famoso capo celtico, avesse una figlia di nome Malvina,
la quale, era stata promessa in sposa al guerriero Oscar. Ben presto Oscar partì per la battaglia ma un giorno, mentre Malvina e suo padre passeggiavano sulle scogliere, un messaggero portò loro
la terribile notizia: il suo amato era caduto in guerra. Il messaggero consegnò a Malvina un mazzo di erica, ultimo gesto d’amore del suo guerriero. La gentildonna corse sulla collina, piangendo
animatamente, ma quando le sue lacrime toccavano terra, i petali di erica da violacei si tramutavano in bianchi. Malvina benedisse quei fiori ed esclamò che, chiunque li avesse raccolti, avrebbe
avuto un’ottima fortuna.
( dal web )
L'erba gatta...
Cosciuta anche come catmint o nepitella, è una famosa specie erbacea in grado di stimolare i sensi dei gatti (si crede sia capace addirittura di fare raggiungere loro il nirvana). I felini
sembrano irresistibilmente attratti dal profumo di quest'erba, su cui sono soliti rotolarsi prima di mangiarla voracemente. Una volta sotto i suoi effetti, i gatti sembrano sperimentare un
intenso stato alterato di coscienza. Le loro pupille si dilatano, si comportano in modo strano e, di solito, iniziano a muoversi con scatti veloci. Sebbene possa risultare divertente osservare un
gatto sotto gli effetti di quest'erba apparentemente psicoattiva, questa specie vegetale offre qualità che vanno ben oltre l'intrattenimento felino.
L'erba gatta, conosciuta con il nome scientifico di Nepeta cataria, è stata storicamente usata ed ancora oggi viene assunta per migliorare la digestione e rilassare i muscoli. La specie
appartiene al genere Nepeta della famiglia delle Lamiaceae ed è di natura piuttosto prolifica, soprattutto nelle sue regioni d'origine: Europa orientale, Asia centrale, Medio Oriente ed alcune
zone della Cina. La pianta si è diffusa anche oltre i suoi territori d'origine, fino al Nord Europa, Nord America e Nuova Zelanda.
L'erba gatta è una pianta perenne che cresce fino a 50–100cm d'altezza, con una larghezza simile. Essendo appartenente alla famiglia della menta, troverete che l'erba gatta somiglia molto alla
specie Mentha spicata, nota anche come menta verde o mentastro verde. La vedrete esibire foglie verdi, ampie alla base e che si assottigliano all'estremità. Queste foglie sono accompagnate nel
periodo della fioritura da piccoli fiori di un bel colore rosa e bianco, con punti viola.
Originaria di Europa, Asia e Africa, la pianta si trova perlopiù in foreste e prati. L'erba gatta è naturalizzata anche in Nord America, ovvero non è una pianta nativa ma vi fu portata, ed è
stata capace di mantenere una popolazione stabile. Date le sue radici in climi prevalentemente caldi, per prosperare tende a preferire una piena esposizione al sole e temperature calde. È
piuttosto resistente all'inverno, quindi non c'è da preoccuparsi.
Le piante fioriscono da luglio a settembre, quindi sarà bene mettere i semi in terra fra metà marzo e metà maggio. Scegliete per queste piante una terra ricca di nutrienti, permeabile all'acqua e
in generale una terra smossa. Dovrete mantenere un ambiente fresco e moderatamente umido e assicurarvi che il terreno mantenga allo stesso tempo un valore di pH compreso fra 6,1 e 7,8, e resti
privo di sali.
STORIA
Dare erba gatta ai propri amici felini è un fenomeno relativamente moderno. Ma esistono testimonianze di umani fare uso di erba gatta che sono vecchie di millenni. Infatti, pare che anche gli
antichi Romani la consumassero come tonico. Col passare dei secoli, si introdusse in America insieme ai coloni, e il suo uso divenne più diffuso con l'inizio del XVIII secolo.
La prima testimonianza scritta risalente a quei tempi proviene dal Massachusetts nel 1712, ed è una ricetta di cucina che elenca l'erba gatta come ingrediente. Anche i pugili di quell'epoca la
masticavano fra un incontro e l'altro, perché si diceva che rendesse più aggressivi. I Nativi americani presero anch'essi a farne uso intorno a quell'epoca, integrandola nelle loro preparazioni
erboristiche.
EFFETTI
Oggigiorno, l'erba gatta si dà prevalentemente ai gatti, per aggiungere un po' di pepe alla loro vita. Precisamente, dopo aver consumato l'erba, i gatti sono investiti da un'ondata di euforia.
Certi si rotolano in preda alla beatitudine, mentre altri semplicemente si distendono e rilassano. Tuttavia, solamente la metà circa dei gatti domestici sente realmente un effetto. Inoltre, non
saprete se il vostro felino senta o meno l'effetto dell'erba gatta fino a che non avrà un'età di 3–6 mesi.
Tornando agli umani, quest'erba non interagisce col nostro sistema allo stesso modo dei gatti, ma se ne possono comunque trarre dei benefici. Se avete difficoltà a completare una notte di sonno
ristoratore, per esempio, l'erba gatta potrebbe migliorare la vostra disponibilità al sonno. Le proprietà di quest'erba possono anche contribuire a facilitare la digestione, con il suo effetto
lenitivo che agisce bene nel favorire la naturale motilità intestinale. Le persone che fanno regolarmente uso di erba gatta riferiscono anche di altri benefici, ma non esistono ancora molte
ricerche al riguardo.
( dal web)
La ginestra
La ginestra ha una lunga storia di utilizzo in vari contesti. Nell’antica Roma, ad esempio, veniva utilizzata per scopi medicinali. I Romani credevano che avesse proprietà purificanti e la
usavano per trattare una serie di malattie. Inoltre, la ginestra era spesso utilizzata in cerimonie religiose, dove veniva bruciata come offerta agli dei.
Nel Medioevo, la ginestra era considerata un simbolo di protezione. Si credeva che piantare una ginestra vicino alla porta di casa proteggesse gli abitanti da spiriti maligni e malocchio. Questa
credenza si basava sulla convinzione che la ginestra avesse proprietà magiche, in particolare la capacità di respingere il male.
Il simbolismo della ginestra si estende anche alla letteratura. Nel poema epico italiano “La Divina Commedia”, l’autore Dante Alighieri utilizza la ginestra come simbolo di umiltà e rinascita.
Nel poema, Dante si trova in un bosco oscuro e viene guidato fuori da una ginestra, che rappresenta la sua rinascita spirituale.
Oltre al suo simbolismo storico, la ginestra ha anche un significato contemporaneo. Oggi, è spesso associata alla bellezza e alla gioia. I suoi fiori gialli brillanti sono un simbolo di felicità
e ottimismo, e regalare un mazzo di ginestre è un modo per augurare a qualcuno gioia e successo.
Tuttavia, la ginestra ha anche un lato oscuro. In alcune culture, è considerata un presagio di sfortuna o morte. Questo contrasto tra i significati positivi e negativi della ginestra riflette la
sua natura complessa e multifaceted.
In termini pratici, la ginestra è una pianta resistente che può prosperare in una varietà di condizioni. Preferisce i terreni ben drenati e le aree soleggiate, ma può tollerare anche terreni
poveri e condizioni di siccità. Questa resistenza la rende una scelta popolare per i giardinieri, che apprezzano la sua bellezza e la sua facilità di cura.
In conclusione, la ginestra è un fiore con una storia ricca e un simbolismo profondo. Che sia vista come un simbolo di protezione, rinascita, gioia o sfortuna, la ginestra ha un posto speciale
nel mondo dei fiori. La sua bellezza brillante e la sua resistenza la rendono un fiore affascinante e degno di nota.
Giovanni il conquistatore...
Giovanni il conquistatore erba originaria del Messico e dell’America del sud. Il suo vero nome e ipomea jalapa o
ipomea purga (nome dato per le sue doti lassative). Jalapa viene
dal xalapa, città
messicana, nei pressi di Vera
Cruz, dov’e stata scoperta la specie ipomea.
Questa famiglia di piante è delle convolvaceae e contano circa 500 varietà dai “variopinti” colori. Giovanni
il conquistatore ha una storia curiosa del perché poi è nota, in Europa, con queste parole.
Iniziamo a parlare della storia. Chi
era “Giovanni il conquistatore”? Secondo una leggenda del 1500, originaria della Louisiana America,
high John
the conqueror, era uno spirito
wodoo giunto dall’africa per aiutare gli schiavi che lavoravano e soffrivano in America.
La leggenda
di Giovanni il conquistatore o dellaipomeajalap venne
riversata in questa pianta a cui attribuirono poteri magici, forse era solo la speranza delle persone rese schiave a dargli il nome di: Giovanni il
conquistatore. Magari e il carattere della pianta, che si arrampica senza fermarsi di fronte agli ostacoli, a dare agli schiavi la forza di andare avanti.
Nella cultura africana, la vegetazione e i messaggi che essa dà, viene interpretata
in modo atavico, con un collegamento allo spirito personale.
Scoperta dagli spagnoli, fu introdotta in Europa nel 1565. Giunse in Inghilterra dove venne studiata come erba officinale e in seguito entrò a fa parte dei
giardini inglesi.
Il suo compito era restituirgli
l’orgoglio, l’autostima e il sorriso usando arti magiche. Aiutava coloro, che ne avessero bisogno. Quando gli schiavi ottennero la libertà, lo
spirito si trasformò in una pianta che continuasse a portare benefici.
Curiosiamo nella Giovanni conquistatore proprietà. La Jalapa ipoma
ha caratteristiche ad uso purgativo. Meglio non usarla in dosi eccessive perché altrimenti si rischia di rimanere intossicati poiché provoca forti scariche
di diarrea.
La radice
in piccole dosi viene somministrata anche a bambini, avendo un sapore sgradevole ed acido, ma si usano dei trucchetti. La si può aggiungere a
marmellate, creme o zucchero. Per gli adulti attenuate il cattivo sapore con zenzero o chiodi di garofano. Dopo
3 o 4 ore dall’assunzione, provoca l’evacuazione.
Giovanni conquistatore proprietà che nascono dalle mucillagini, glicoside, resine, la gialappina, amidi e acido malico acido. Esso si usa anche
come vermifuga poiché purifica interiormente. Ovviamente si usa per la costipazione,
dolori e coliche. Nelle diete dimagranti è utile per regolarizzare il metabolismo, ma non si deve mai usare in dosi eccessive, specialmente se avete
perso molto peso.
Attenzione che prendere un cucchiaino di polvere di jalapa prima
dei pasti, provoca la nausea, soprattutto a chi tende a mangiare troppo. La ipomea jalapa è
una erbacea rampicante con radici tuberose, carnose. DescrizioneGiovanni
conquistatore pianta vediamo i rami sottili, scuri e possono radicare se toccano la terra. La pianta può arrivare anche a 4
metri di lunghezza, avvolgendo e attorcigliandosi su qualsiasi cosa incontra, diventando infestante.
Nella DescrizioneGiovanni
conquistatore pianta le foglie sono cuoriformi, verdi e con fiori ascellari. La corolla e imbutiforme. Possiede colori sfumati tra di loro,
come il rosa, viola e blu. Il frutto è una capsula con 2 semi. La DescrizioneGiovanni
conquistatore pianta ci porta a scoprire che èleggermente
tossica, da non usare in cucina.
I tuberi
sono scuri e rugosi, esternamente e bianchi e lattiginosi all’interno. Poco più grande di una noce, viene tagliata a pezzi ed essiccata. In seguito
polverizzata. Prima di usarla o acquistarla, verificate l’autenticità della radice per non essere tratti in inganno con altre polveri.
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Incenso
L’incenso sciamanico e la magia
Le fumigazioni sono usate anche nei rituali magici (aromi e incensi collegano il mondo spirituale a quello materiale): mirra, cannella e copale atzeco (purificazione e protezione),
canfora (riconciliazione), palosanto (pratiche magiche inca contro la negatività), sandalo, patchouli e dammar (rituali afrodisiaci), muschio quercino (coraggio e successo), chiodi di garofano
(denaro e prosperità).
Usato nei monasteri buddisti e tibetani, l’incenso contrasta spiriti e pensieri maligni (Ruta graveolens), innalza l’energia ambientale e dona guarigione interiore (la salvia bianca
unita alla cristalloterapia è usata da Nativi Americani e nelle culture sciamaniche sudamericane per purificazioni durature e aumento della frequenza vibrazionale), allontana gli insetti
(palosanto), protegge da pericoli e ostacoli, dona prestigio (kurukulle, erbe e resine dell’Himalaya), dà forza spirituale se si perde il cammino (cedro).
Incenso, angeli e fate
In commercio sono disponibili incensi associati a esseri magici e spirituali: Chamuel, Arcangelo dell’amore e della pace (per il chakra del cuore, guarigione, amore, collaborazioni), Gabriel
(resurrezione, trasformazione, rinascita), Haniel (grazia, eleganza, energia eterea e nutriente che rafforza chiaroveggenza, fiducia e cognizione), Uriel (dinamismo e risolutezza contro sconforto
e disperazione).
Le fate, che raccolgono i desideri degli uomini, sono energia vibrante espressa in colori e profumi.
I loro incensi balsamici al miele sono espettoranti, rinfrescanti e portano felicità (fata Allegria), nuove idee e chiarezza interiore (fata della Comprensione), aiuto nell’arte (fata
della Creatività), sostegno nelle criticità (fata della Protezione), ricerca delle soluzioni (fata della Verità).
Gli oggetti rituali
I brucia-incensi per bastoncini e coni con foro centrale e laterale, simboli argentati o dorati (vaso, loto, ombrello) possono essere a forma di foglia in argento o alluminio con mosaici
colorati, gondola (in legno), rotondi (in metallo), da appendere o poggiare sul tavolo (incensi in grani), in ottone, rame con fori e draghi intagliati (stile giapponese), in metallo
con coperchio (tibetani), con decorazioni e pietre, con manico per volteggiare in aria (incensi sfusi), con coperchio e catenella (resine e incensi), in stile inglese vintage (manici e coperchio
ricavati da servizi da the, per fumigazione con sabbia), in ottone massiccio a coppa con decorazioni in stile cinese antico.
( dal web )
Issopo
L'Issopo (Hyssopus officinali L. subsp. officinalis) è conosciuto e apprezzato sin dall’antichità e intorno ad esso gravitano usi, miti e leggende, che
spaziano dall’ambito strettamente erboristico a quello magico-religioso e alimentare.
Comunemente coltivato ad uso officinale, risulta spontaneizzato in numerose regioni italiane e a causa del suo carattere sinantropico (non a caso è presente in prossimità di centri abitati o di
antichi ruderi) spesso è difficile valutarne l'origine autoctona. Particolarmente vistoso e riconoscibile durante il periodo di fioritura (in condizioni sterili può essere confusa con altre
specie appartenenti alla stessa famiglia), allo stato selvatico preferisce gli ambienti rupestri, i luoghi sassosi ed erbosi aridi.
«Aspergimi con l’Issopo e sarò mondato, purificami e sarò più candido della neve»: l’antica saggezza di questo Salmo biblico condensa l’uso generale dell’Issopo come pianta purificatrice. La sua
sacralità, riconosciuta sia dai pagani che dai cristiani, ne impone l’utilizzo in numerosi riti di benedizione e di pulizia cosiddetta “astrale”. Questa tradizione è confermata dal significato
etimologico dei termini hyssôpos e hyssopus, i quali, di derivazione, rispettivamente, greca e
latina, secondo alcuni studiosi sono riconducibili alla parola ebraica ezob o all’arabo azzof, con
il significato di “pianta sacra”. Per tale motivo compariva come ingrediente fondamentale nella preparazione degli incensi da bruciare e delle cosiddette “Acque della purificazione”. Anche il Re
Salomone, così narra la tradizione, conosceva e apprezzava i poteri medicamentosi e magici di questa pianta. La troviamo citata nel Vangelo di Giovanni, a proposito dell'evento della Passione:
con un ramo di Issopo viene offerta a Gesù, morente sulla croce, una spugna imbevuta di aceto.
Nel Medioevo era considerato un rimedio contro la peste: con i suoi fumi si disinfettavano le case, le chiese e i lebbrosari. Con rametti d’Issopo si aspergeva l’acqua benedetta nei riti di
purificazione delle case e dei campi e si confezionavano coroncine a scopo esorcistico, per tenere lontane le influenze negative. Santa Ildegarda da Bingen (1098-1179) consigliava di macerare le
sue foglie nel vino e di somministrare tale medicina nei casi di depressione.
La pianta intera contiene un olio essenziale (una miscela di pinocanfene, beta-pinene, pinocarvone, tujone, delta-germacrene, ecc.), acidi organici (malico, oleanolico, ursolico, caffeico,
ferulico, oleanolico, rosmarinico, ecc.), flavonoidi (diosmina ed esperidina), fitosterolo, resina e sostanze tanniche. A scopo alimentare le foglie e i fiori vengono utilizzati, in piccole
quantità, per aromatizzare le insalate miste oppure piatti a base di carne (in particolare arrosti) e verdure. Il loro aroma è ottimo per impreziosire minestre, zuppe, salse e sughi. Deve essere
però impiegata con una certa parsimonia in quanto il suo odore aromatico è molto forte, penetrante e sebbene gradevole, a dosi elevate, può risultare alquanto acre e amaro. Sotto forma di essenza
è l'ingrediente fondamentale di numerosi liquori a base di erbe, tra cui il famoso “Cent'erbe”.
L'uso medicinale di questa pianta è conosciuto sin dall'antichità: viene impiegata per la sua azione aperitiva, digestiva, carminativa, tonica sul sistema nervoso, antisettica, cicatrizzante,
stimolante le difese immunitarie, antispasmodica, balsamica, antipiretica, decongestionante ed espettorante. Il suo olio essenziale dimostra spiccate proprietà battericide e antivirali. Per
questa ampia gamma di proprietà farmacologiche, l’Issopo risulta un eccellente rimedio per curare bronchiti croniche, stati influenzali, sinusiti, mal di gola e gengiviti (in forma di
collutorio), raffreddori, alcune forme di herpes, problemi digestivi, infezioni intestinali, flatulenza, ansia e affaticamento mentale. Per uso topico, l’infuso delle foglie è impiegato per
fomenti, lavande e medicazioni di abrasioni, ferite e piaghe.
Nella medicina popolare il decotto di infiorescenze di Issopo e frutti di Fico, è raccomandato in caso di tonsillite e tosse, mentre l'infuso di fiori viene consigliato per regolare il flusso
mestruale (azione emmenagoga) e aumentare la diuresi. La somministrazione interna dell’olio essenziale (nonostante la generale assenza di effetti collaterali) è sconsigliata ai bambini, alle
donne in gravidanza e ai soggetti sofferenti d’ipertensione ed epilessia.
Nell’ambito dell’Aromaterapia, l’essenza (vaporizzata, sotto forma di profumo o miscelata a oli da applicare sul corpo) trova impiego in situazioni ed esperienze di particolare coinvolgimento
emotivo (come la meditazione, il rilassamento, il massaggio, l’ascolto della musica, la creazione di opere artistiche) e per la purificazione a livello emozionale e spirituale, di persone e
luoghi.
( dal web )
La Mirra...
La mirra è un’oleoresina
gommosa raccolta dalla corteccia di un albero del genere Commiphoramolmol (altro nome
della Commiphora myrrha).
Questo alberello o arbusto spinoso cresce in Kenya, Somalia, Etiopia; perforando la corteccia dell’albero e raccogliendo successivamente le “perle” di linfa essiccata, viene così estratta la
mirra.
Il nome mirra deriva dall’arabo murr che
significa amaro. Commiphora invece deriva dal greco e
significa “che
produce resina”. Diverse specie di Commiphora producono resine simili che
danno luogo ad altre mirre come per esempio quella “africana” e quella “indiana”.
In greco il nome mýrra al sostantivo /mýron/,
“unguento fragrante”, “profumo”.
Nel mito ‘Mirra (conosciuta anche come
Smirne), è la giovane figlia di Cinira, re di Cipro, l’isola consacrata ad Afrodite: il racconto
eziologico spiega l’origine della resina intensamente odorosa che prenderà il suo nome, attraverso le suggestioni di una leggenda di metamorfosi.
Nell’antico Egitto la mirra era bruciata nei templi in grandi quantità a mezzogiorno, usata nel processo di mummificazione dei corpi e fu uno dei regali principali che gli abitanti
della mitica
Terra di Punt inviarono ad Hatshepsut in occasione della famosa
spedizione di esplorazione organizzata dalla famosa donna faraone: siccome Punt era indicata dagli antichi Egizi come la terra degli
Dei, il loro luogo di origine, la mirra era una materia preziosa dal valore inestimabile.
Il suo utilizzo a livello ‘magico’ è per ottenere protezione a tutti
i livelli: di solito viene utilizzata in combinazione con l’incenso, per purificare gli
ambienti e aumentarne il livello
energetico.
La mirra è sacra
alla Grande Madre, sia che ella venga chiamata chiami Maria, Iside o Binah. È un’erba dell’antica dea, specialmente nel suo aspetto di Colei che piange e che ascolta il dolore del
cuore.
Gli incensi alla Mirra
e Frankincenso (incenso puro) sono particolarmente indicati per curare le ferite emozionali del cuore (magari in combinazione al quarzo rosa).
Corrispondenze
Planetarie della Mirra
Mirra/Fuoco/Marte
Come l’incenso, anche la
mirra rappresentava per gli antichi un
elemento solare e divino. Le
spine della pianta e la resina scura, simile al sangue, portano anche ad una associazione con Marte.
Date le antiche connessioni della Mirra con il Sole
/ Marte e le sue proprietà protettive, alcune persone la collegano all’elemento Fuoco.
La fenice, uccello solare,
si serviva infatti di questa resina – e
dell’incenso – per costruire il proprio
nido, portandoli sul rogo dove sarebbe bruciata per poi
risorgere. Esattamente come il sole, il grande astro, ogni giorno tramonta e sorge.
Questo legame con il sole è testimoniato da un’usanza del Regno di
Saba riportata da Teofrasto. Il filosofo narra che tutta la raccolta di incenso e mirra veniva accumulata nel tempio del sole,
considerato il luogo più sacro di
quel paese.
La mirra era
utilizzata, insieme ad altri aromi, per finalità rituali:
collegava verticalmente uomini e dei. Al tempo
stesso – in formato di unguento, profumo e altri prodotti cosmetici – aveva la funzione erotica di unire uomini e donne
orizzontalmente, con il potere del suo aroma.
Mirra/Acqua/Luna
Tuttavia, la
maggior parte degli studiosi di esoterismo associa la Mirra alla Luna, in particolare alla fase della Luna Nera e
associata all’elemento dell’acqua.
La mirra, infatti, ha
certamente alcuni attributi acquosi come i suoi legami con il dolore, la contemplazione e il grembo materno. La Mirra ci conduce nelle profondità dell’emozione per
operare la sua magia curativa.
L’energia della mirra evoca sia l’oscura terra antica che il grande mare nero.
Mirra/Saturno
Una corrispondenza planetaria secondaria sarebbe Saturno, che governa
l’oscurità e la morte, per questo tutt’oggi viene spesso usata nei rituali per curare il dolore e
onorare i morti.
Che corrisponda al Sole, alla Luna o a Saturno, una cosa è certa: la Mirra bruciata prima di un rituale, preghiera o meditazione, libera l’area dalle vibrazioni negative, aiutando coltivare
saggezza e auto-guarigione.
Se volete potete anche utilizzare l’Olio di Ecate. Farlo è
molto semplice. Basta che sia un sabato, giorno di Saturno, in luna calante. In una boccetta mettete olio di semi a vostro piacimento (io uso olio di mandorle ma vanno bene anche altri..).
Aggiungete:
3 gocce di olio
essenziale di mirra
2 di incenso
1 goccia di
patchouli
1 di menta (o una
fogliolina di menta fresca).
Nei momenti di sconforto, potrete strofinarvi sui polsi l’olio ottenuto, chiedendo alla Dea di proteggervi, purificare la vostra aura e guidarvi attraverso il buio.
Nell’antica persia aveva lo stesso prezioso valore ed è conosciuto ancora oggi l’Olio della Regina. Nel testo ebraico il Il Libro di Ester, in cui viene
raccontata la sua straordinaria storia della fanciulla ebrea che diventò regina, come l’olio mirra fosse stato usato ”per sei mesi” a scopo
purificatorio/rituale prima d’ incontrare il re.
( dal web )
Il Palo Santo...
Informazioni botaniche e origine del Palo Santo
Il Palo Santo o Bursera graveolens è un albero
tropicale appartenente alla famiglia delle Bursareacee originario dell'America Centro-Meridionale, area dove cresce spontaneamente,
soprattutto in Perù ed Ecuador.
A seconda della zona precisa in cui nasce (e muore) questo arbusto, esso acquisisce dal terreno sostanze e proprietà specifiche.
Il Palo Santo, il cui significato corrisponde a “legno sacro”, può raggiungere altezze di circa 18 metri, possiede piccole foglie e produce
frutti di colore verde scuro.
Il Bursera graveolens ha origini molto antiche. Esso veniva utilizzato dagli sciamani Inca e dagli indigeni delle Ande nei loro rituali religiosi, come mezzo capace di scongiurare energie negative ma anche come strumento
mistico per comunicare con gli dei. Bruciando, questo vegetale produce un fumo denso dal grande potere spirituale, tanto che veniva adoperato
nelle cerimonie e nei rituali indigeni per accendere fuochi sacri.
Fin dai tempi antichi questo albero veniva utilizzato non soltanto nei rituali ma anche per scopi terapeutici, in virtù delle sue proprietà medicinali. Grazie ai suoi poteri curativi, la sua
essenza veniva impiegata per sanare problemi cutanei e muscolari; l'acqua di cottura della corteccia era utilizzata per il trattamento
di disturbi di stomaco; e infine la cenere del suo legno veniva usata per curare le ferite.
In realtà, in Perù e in Ecuador il fumo del Palo Santo si utilizza ancora oggi per allontanare zanzare e insetti volanti di diverso genere, in modo del tutto naturale.
Il legno di Palo Santo
I benefici derivanti dal legno di Bursera graveolens sono tali solo nel momento in cui l'albero utilizzato è morto per cause naturali o per ragioni di vecchiaia, ovvero dopo 90 anni dalla sua nascita (vita media di questo arbusto). Per poter usufruire di questo prodotto è necessario far passare circa 3-4 anni dopo la morte, in
modo tale che la pianta prosegua il suo processo di decomposizione. In questo periodo la pianta assorbe tutta l’energia e le virtù sacre,
caricandosi di proprietà soprannaturali e positive; in questo stesso periodo essa produce un olio che, una volta bruciato, genera un fumo denso e biancastro dagli elevati poteri spirituali.
A livello scientifico, in realtà, la profumazione particolare che il legno assume in questo periodo è dovuta al fatto che, dal momento in
cui l’albero giace sul terreno e ne entra in contatto, si vengono a creare funghi e microrganismi al suo interno.
Il suo aroma ricorda un po’ una miscela di profumi già conosciuti, con un tono molto deciso di menta e agrumi.
Dal legno di questo vegetale si ottengono dunque un olio essenziale molto prezioso e anche oggetti artigianali come alcuni incensi, ricavati per tradizione attraverso il taglio effettuato con un
macete, estraendo bastoncini da bruciare lunghi circa 10 centimetri, senza danneggiare in nessun modo la foresta.
Più sono gli anni che passano prima che l’albero venga utilizzato per tali scopi, e più esso si carica di sacralità. Coloro che ne entrano in contatto in questo periodo di immobilità, rispettano
appieno l’arbusto e il luogo in cui si trova, senza violare neppure la natura circostante. Essi si limitano ad assorbire, anche con la semplice vicinanza, le prime energie positive che l’albero
riceve e, contemporaneamente, emana.
Proprietà magiche e utilizzi del Palo Santo
L'utilizzo del Palo Santo è tradizionalmente molto vario, esso è usato specialmente contro l'energia negativa o “mala energia” e la “planga
blanca”, la quale viene considerata strettamente correlata anche all’insorgere di talune patologie.
Il Palo Santo è utilizzato anche nella creazione di prodotti destinati all'industria cosmetica come ad esempio bagnoschiuma, shampoo, sapone per
igiene intima ecc.
Riguardo alla meditazione, invece, l’utilizzo del fumo creato dalla combustione dei derivati di questo arbusto facilita il legame con la natura,
con la sorgente della vita e di tutto ciò che ci circonda.
( dal web )
Il papavero...
Il papavero lo vediamo in primavera spuntare timoroso in mezzo alle spighe di grano, come un fermaglio rosso tra i capelli di una principessa bionda, sui bordi di
strade e ferrovie oppure nei prati verdi puntinati di mille colori, ma lui spicca con la sua conformazione esile e con il suo colore acceso.
Simbolo di pigrizia, il papavero rosso è da sempre conosciuto per le sue proprietà sedative e antispasmodiche, si narra che una volta gli amanti usassero prendere
in mano un petalo di papavero e che se stretto nel pugno scrocchiava allora era segno di fedeltà verso il partner.
Nella mitologia è descritto come il fiore che ridonò pace a Demetra dopo la perdita del figlio, perché trovava sollievo solo bevendone degli
infusi.
Anche il grande imperatore mongolo e condottiero Gengis Khan è legato ai papaveri, si narra infatti che portasse sempre con sé dei semi di papavero da spargere
sui campi di battaglia dopo le sue vittorie, in ricordo e rispetto di coloro che vi erano caduti con onore.
Già gli egizi conoscevano le proprietà antidolorifiche di questo fiore, e i greci utilizzavano i semi in segno di salute e forza, veniva infatti preparato un
infuso di semi di papavero da far bere agli atleti prima delle gare.
In rete ho trovato una fiaba molto bella e ve la voglio far conoscere:
La nascita del papavero di Marco Giussani
❝In un tempo lontano, lontano, accadde un giorno che il Sole, mentre camminava attraverso la volta celeste, cominciò a dolersi dicendo: “Oh! Questi giorni d’estate sono così lunghi, e nemmeno una nuvoletta che mi faccia compagnia; in questi giorni il tempo sembra, non passare mai ! “
Gli spiriti dell’aria che udirono le sue parole, non sapendo cosa fare, decisero di chiedere aiuto ai folletti dei boschi. Questi si riunirono e discussero a lungo, perché era veramente difficile trovare qualcosa di così bello e sempre nuovo, così da vincere la malinconia del sole.
Pensa e ripensa, discuti e ridiscuti, alla fine tutti si convinsero che non c’era niente di più bello e vario dei fiori. “Chiederemo alla terra di inventare un nuovo fiore”, disse uno, ma il folletto più vecchio e saggio disse:
“Il fiore che doneremo al Sole, in segno di ringraziamento, dovrà essere un fiore speciale, un fiore nuovo e mai visto, dovrà nascere dai sogni di un bambino…” Fu dunque deciso, tutti partirono alla ricerca di fiori, sognati, inventati, o disegnati dai bambini di tutta la terra.
I giorni passarono e dopo un lungo cercare, si ritrovarono nel cuore del bosco. Ognuno portava con sé le immagini bellissime dei fiori sognati dai bambini che avevano incontrato nel loro peregrinare.
Erano fiori grandi e piccoli, umili e sfarzosi, fiori di carta o di seta, fiori di cristallo o di semplici fili d’erba intrecciati, fiori d’oro o d’argento,… ed era veramente difficile scegliere il fiore più bello, tanto che i folletti cominciarono a discutere e a litigare con gran chiasso tra di loro.
Ma ecco, che la porta si aprì lentamente, cigolando, nel silenzio improvviso che regnò nel cuore della foresta: nessuno dei folletti si era accorto che il più piccolo di loro non era ancora ritornato dal suo viaggio. Lo videro entrare ancora affannato e stanco per il lungo cammino, e con sé, non aveva che una piccolissima scatola.
Tutti lo osservarono con curiosità, e pensando che tanta fatica lo aveva portato a quella scatolina insignificante, scoppiarono in una fragorosa risata. Ma il più vecchio e saggio, li zittì, chiedendo al piccolo Evelino, di raccontare per primo la sua storia.
Ancora ansante e un poco intimorito, Evelino cominciò il suo racconto: “Ho viaggiato nei sogni dei bambini, ed ogni volta credevo di aver trovato il fiore più bello; così lo raccoglievo e lo portavo con me. Ma quando lo riponevo nel cesto con gli altri fiori, rimanevo stupito e guardando il cesto rimanevo incantato e non sapevo più riconoscere il più bello. Così continuai a cercare, e cercare ancora, e il mio cesto fu presto colmo.
Decisi allora di ritornare, quando un vento dispettoso venne e cominciò a soffiare e soffiare sempre più forte, finchè perduto il mio cammino, turbinando mi portò con sé. Quando la bufera si placò, mi ritrovai nei pressi di una capanna, sperduta tra i monti. Qui viveva un bambino molto povero; non aveva i soliti giocattoli delle vetrine di città, ma era ricco di fantasia e ogni volta sapeva inventare o creare nuovi giochi, usando sassi, fili d’erba e pezzi di legno.
Lo vidi correre e saltare nel suo piccolo regno, quand’ecco trovò fra l’erba del prato un foglio di carta leggera che il vento aveva lasciato cadere. Lo raccolse, lo porto in casa e lo colorò con l’unico pastello che possedeva, di un bel rosso vivo. Ritagliò i petali delicati e li cucì tra loro con un sottile filo nero. Ne nacque un fiore così bello, come non ne avevo mai visto.
Lasciai in dono al bambino il cesto con tutti i fiori raccolti, e gli chiesi in cambio quel suo unico fiore.” Così dicendo il piccolo folletto aprì la piccola scatola, e alla vista di quel fiore tanto intenso quanto delicato, tutti rimasero incantati. Allora il più vecchio disse: “Piccolo Evelino, hai scelto col cuore. Il fiore che hai portato verrà dato alla Terra, perché lo custodisca, e possa farlo nascere.
Esso fiorirà nei campi di grano, e tra le spighe selvatiche sul ciglio dei fossi; mischierà il suo colore a quello del sole, perché sempre si ricordi che nacque per portare gioia e serenità.” Quando poi il sole vide il nuovo fiore rosseggiare tra le spighe dorate, commosso per il dono ricevuto, lo ricambiò donandogli la sua luce. E ancora oggi, nel tramonto delle sere d’estate, i papaveri, come fiammelle accese, portano memoria di quel tempo che fu. ❞
( Dal web )
Un celebre detto dei medici della Scuola Medica Salernitana era:cur moriatur homo, cui salvia crescit in
horto?
ovvero “come può morire l’uomo nel cui giardino cresce la salvia?”. E fu proprio la Scuola Medica Salernitana, la più famosa nel Medioevo, depositaria della conoscenza medica, ad aver dato a
questa pianta il nome diSalvia
Salvatrix,
“salvia che salva”.
Un famoso proverbio inglese consiglia: “chi vuol vivere a lungo deve mangiare la salvia nel mese di maggio”.
La leggenda narra che, durante la tremenda peste che colpì la città di Tolosa nel 1630, quattro ladri, non tenendo conto del rischio di contagio, entrarono nelle case degli appestati, moribondi,
per depredarli delle ricchezze. Arrestati, furono condannati all’impiccagione. Un giudice intelligente e curioso si chiese però come mai non furono contagiati: nessuno dei quattro. Li interrogò,
promettendo loro la grazia se avessero rivelato il segreto. I ladri raccontarono che per due volte al giorno si bagnavano i polsi e le tempie con un “macerato” di diverse specie vegetali, tra cui
salvia, rosmarino, timo e lavanda. Questa preparazione, da quel giorno, fu conosciuta come “aceto dei quattro ladri”. I registri della città riportano che comunque i ladri furono
impiccati.
Nel corso di un’altra epidemia, nel 1720 a Marsiglia, altri ladri depositari del segreto, ma più fortunati dei precedenti, furono sorpresi e poi sottoposti a giudizio e liberati in cambio della
formula segreta che fu trascritta nel museo della vecchia città di Marsiglia. Il Codice Ufficiale Francese del Corpo Medico ufficializzò nel 1748 l’Aceto dei Quattro Ladri,
aggiungendo cannella, acoro aromatico e aglio, dato che alcuni guaritori conoscevano altre composizioni. Fu utilizzato con successo per preservarsi dai contagi: era considerato disinfettante,
detergente e utilizzato anche in caso di sincope, ma scomparve dal Codice nel 1884 con l’avvento della medicina moderna.
La ricetta, elaborata poi con l’aggiunta di altri ingredienti dall’erborista Ermanno Valli, è la seguente: si mettono in un barattolo un cucchiaio di foglie di salvia tritate, un cucchiaio di
foglie di rosmarino tritate, uno spicchio d’aglio schiacciato. Queste erano le erbe già utilizzate nel Medioevo. Si possono aggiungere: un cucchiaio di foglie di noce tritate, un cucchiaio di
foglie di alloro tritate, un cucchiaio di chiodi di garofano schiacciati, una stecca di cannella schiacciata, un cucchiaio di lichene islandico tritato, un cucchiaio di ginepro (sia ramoscelli
che bacche) tritato. Si ricopre tutto con un litro di buon aceto, bianco o rosso, quindi di vino, e si lascia macerare per una settimana. Passato il tempo, si filtra.
Questo aceto ha proprietà antisettiche, e da solo contiene sette proprietà di antibiotici. Si prepara a freddo e si conserva a lungo.
È utile per prevenire e combattere le malattie virali e epidermiche (due gocce a polsi e tempie mattino e sera, proprio come i ladri).
In caso di malattia, si può assumere un cucchiaino di aceto diluito in acqua per tre volte al giorno.
Sono indicati anche i pediluvi, diluendo mezzo bicchiere di aceto in due litri d’acqua.
Oggi le proprietà degli ingredienti sono conosciute: le erbe utilizzate sono antisettiche, antibatteriche, antivirali, antimicotiche, antinfiammatorie, vermifughe, carminative, colagoghe,
febbrifughe, insetto-repellenti, antiveleno, stimolanti, vulnerarie e bechiche.
Una leggenda cristiana, invece, narra perché alla salvia fossero attribuite tante virtù: quando la Sacra Famiglia fuggì in Egitto, solo l’umile piantina di salvia accettò di nascondere Gesù
Bambino dalla vista dei soldati. Allora la Madonna la bene e le fece dono delle sue qualità terapeutiche. Essa rientrava tra le specie che gli antichi Egizi utilizzavano per l’imbalsamazione e le
attribuirono la proprietà di render fertili le donne; anche loro la usavano contro la peste. Era considerata afrodisiaca, tant’è che Cleopatra – si narra – ne faceva uso per conquistare gli
uomini.
I Greci vietarono l’assunzione di vino, estratti e bevande a base di salvia per evitare intossicazioni.
Teofrasto raccontava che la salvia respinge le malattie e la vecchiaia.
La salvia era sacra per i Romani, simbolo di vita; la utilizzavano come panacea per tutti i mali. Era usata per regolare il ciclo mestruale (credenza in seguito riconosciuta a seguito della
scoperta di un estrogeno che regola la fecondità).
Essi organizzavano un evento importante al tempo della raccolta, che veniva effettuata sempre con attrezzi di metallo più nobili del ferro.
Le foglie di salvia elaborate secondo precisi rituali venivano utilizzate per difendersi dagli incubi notturni.
Alcuni detti popolari vogliono che nelle case dove la salvia cresce bella e forte sia la moglie a spadroneggiare, mentre se la pianta di salvia che si ha nel giardino muore gli affari andranno
male. In Veneto si dice che quando muore la salvia nell’orto muore anche il padrone di casa se non è già morto.
( dal web )
ll sandalo...
Il legno di sandalo è un albero pieno di magia, che ci regala uno degli aromi più usati nella magia e nell'esoterismo. Questo è un albero originario dell'India, considerato sacro poiché
il suo estratto ha effetti potenti e un'influenza divina. Le proprietà del legno di sandalo si ritrovano in essenze, resine, incensi e altri prodotti con il suo aroma.
L'essenza di legno di sandalo è usata come base per molte fragranze, poiché il suo profumo dolce e floreale aiuta in termini di pace spirituale e
meditazione , oltre ad attrarre buone vibrazioni. Il suo aroma è stato ampiamente utilizzato da aziende e commercianti nei paesi orientali, poiché promuove
la comprensione nelle comunicazioni .
Attualmente, viene utilizzato per eseguire meditazioni spirituali o guarigioni con il nostro passato, poiché la
sua alta magia ci fornisce stati in cui svilupperemo al massimo il nostro potere mentale e saremo in grado di liberare i legami dal passato. Possiamo trarne vantaggio anche nei momenti
in cui abbiamo bisogno di rafforzare la nostra memoria per gli studi, al lavoro o in altri momenti che richiedono
concentrazione.
Oggi vi lasciamo 3 diversi modi per utilizzare l'aroma di questo albero sacro, utilissimo per la vostra giornata:
Puoi usarlo come un bastoncino, un cono o bruciando l'incenso del grano (costituito da trucioli della corteccia
dell'albero) con carbone di legna. Come abbiamo già detto, il suo profumo incoraggia la comunicazione, la solidarietà e la fraternità. Questo favorisce molto le vendite , quindi, ti consigliamo di utilizzare l'incenso al legno di sandalo prima di iniziare il lavoro ogni
mattina e di fare una piccola visualizzazione del tuo obiettivo per la giornata.
In tempi di studio, molto lavoro o quando abbiamo bisogno di meditazioni, il sandalo ci aiuterà a sviluppare la nostra
capacità mentale , ad attivare la concentrazione e la memoria . Inoltre, può portare pace e tranquillità a casa. Usa candele di legno di sandalo mentre studi o lavori, anche
in meditazioni , sessioni di reiki e guarigioni spirituali e aiuta te stesso con le sue vibrazioni positive . Puoi anche valorizzarlo utilizzando l'essenza del legno di sandalo nei fornelli o ungendo le tue candele.
Nei tempi antichi, in India, le donne avvolgevano i loro corpi nelle foglie degli alberi prima dei loro incontri romantici. Ed è che l' aroma del legno di sandalo ha una caratteristica molto particolare: è molto potente in termini di attrazione tra le persone.
Uva Ursina...
Con il termine "uva ursina" si fa riferimento ai frutti della pianta Arctostaphylos uva-ursi di cui sono golosi gli orsi (da cui il
nome della pianta), anche se alcune fonti tendono a indicare come uva ursina anche i frutti delle piante Arctostaphylos adentricha e Arctostaphylos coactylis. Sono in particolare le foglie a
venire utilizzate per realizzare estratti per uso terapeutico.
A cosa serve l’uva ursina?
Diverse sono le proprietà attribuite al consumo di prodotti a base di uva ursina (sebbene debbano ancora essere accertati dal punto di vista scientifico). Poiché l'uva ursina sembrerebbe essere in grado di
ridurre i batteri presenti nelle urine, i prodotti a base di questo frutto sembrerebbero essere in grado di coadiuvare le terapie contro i disturbi del tratto urinario, come la cistite, comprese le infezioni e infiammazioni a carico di reni, vescica, uretra e vie urinarie e altri disturbi come aumento della minzione,
minzione dolorosa, presenza di acido urico o altri acidi in eccesso nelle urine. Alcuni studi hanno messo in evidenza inoltre gli effetti benefici dell'uva ursina contro disturbi anche molto
diversi tra loro come costipazione e bronchite.
A oggi non risultano claim approvati dall’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) specifici per i prodotti a base di uva ursina.
Avvertenze e possibili controindicazioni dell'uva ursina
Gli effetti collaterali più comuni dovuti all'assunzione di prodotti a base di uva ursina sono nausea, vomito, mal di stomaco e una colorazione verde-marrone delle urine. In generale l'assunzione orale di uva ursina è
considerata ben tollerata dagli adulti nel breve termine (non oltre un mese); alte dosi e usi eccessivamente prolungati nel tempo possono però dar vita a effetti collaterali anche gravi, tra cui
danni al fegato (l'uva ursina contiene una sostanza chimica che potrebbe causare gravi problemi al fegato), agli occhi (contiene una sostanza chimica che può assottigliare la retina),
all'apparato respiratorio, fino ad arrivare a insorgenza di convulsioni e morte. A scopo precauzionale è bene evitare l'uso di uva ursina in caso di gravidanza o allattamento. Non somministrare
prodotti a base di uva ursina ai bambini. L'uva ursina può avere effetti diuretici e può interagire con i farmaci e altre sostanze a base di litio.
La verbena...
La Verbena e il Mito dei Vampiri
In tempi antichi, quando si credeva che la notte fosse dominata da creature oscure e le ombre racchiudevano segreti inimmaginabili, la gente comune cercava protezione attraverso rituali,
amuleti e piante sacre. Una di queste piante era la verbena, una modesta erba che nasconde dietro la sua apparente semplicità un potere antico e misterioso.
Le storie narrano di come la verbena fosse stata benedetta da poteri superiori per proteggere gli esseri umani dalle creature notturne, in particolare dai vampiri. Questi esseri, creature
della notte con denti affilati capaci di succhiare il sangue dei vivi, erano temuti in molte culture. La loro immortalità, la loro forza sovrumana e la loro capacità di ipnotizzare le loro
vittime li rendevano nemici formidabili.
Secondo la leggenda, portare con sé un rametto di verbena offriva una protezione sicura contro questi esseri. Se un vampiro tentava di avvicinarsi a una persona protetta dalla verbena, si
diceva che la pianta emettesse un bagliore luminoso e una forza invisibile impediva alla creatura di avvicinarsi ulteriormente. La sola presenza della verbena in una casa era sufficiente per
tener lontano i vampiri, proteggendo così gli abitanti durante le ore notturne.
Si raccontava anche che un infuso di verbena potesse annullare l’ipnosi dei vampiri e curare coloro che erano stati morsi, purificando il loro sangue e restituendo loro la libertà.
Ma da dove nasceva questo potere? Alcuni dicono che la verbena fosse una delle piante presenti nel Giardino dell’Eden e che avesse assorbito la luce divina, rendendola così un antidoto naturale
contro le creature oscure. Altri credono che fosse stata benedetta da antichi sacerdoti e streghe che conoscevano i segreti delle piante.
Indipendentemente dalle origini del suo potere, la verbena rimane uno dei simboli più affascinanti della lotta tra luce e oscurità, tra il bene e il male. Anche se i vampiri sono relegati al
regno dei miti e delle leggende, la storia della verbena ci ricorda la potenza delle credenze antiche e l’importanza di cercare protezione nelle piccole cose che la natura ci offre.
Varietà di Verbena
Verbena Hybrida
A differenza della Verbena officinalis, la verbena hybrida è più conosciuta per il suo valore ornamentale piuttosto che per le sue proprietà medicinali.
Caratteristiche e informazioni sulla verbena hybrida:
Aspetto Fisico: La verbena hybrida è una pianta erbacea perenne, anche se in molte regioni viene coltivata come annuale a causa della sua sensibilità al freddo. Le sue foglie sono di forma
lanceolata e i fiori si presentano in una varietà di colori, tra cui rosa, rosso, bianco, viola e blu.
Fioritura: I fiori della verbena hybrida sono molto attraenti e compaiono in grappoli. Fioriscono dalla tarda primavera all’autunno, offrendo un lungo periodo di colore nel giardino.
Crescita: Preferisce posizioni soleggiate e terreni ben drenati. Una volta stabilite, queste piante possono tollerare brevi periodi di siccità.
Usi: Grazie alla sua bellezza e al suo lungo periodo di fioritura, la verbena hybrida è popolare nei giardini e viene spesso utilizzata in aiuole, bordure, vasi e cesti appesi.
Cura: Questa pianta può essere soggetta a malattie fungine, in particolare se coltivata in condizioni di umidità elevata. È importante garantire una buona circolazione dell’aria intorno alle
piante e annaffiarle alla base per evitare che le foglie si bagnino troppo.
Moltiplicazione: La verbena hybrida può essere propagata tramite semi o talee.
Variazioni: Esistono molte cultivar di verbena hybrida disponibili, ognuna con caratteristiche uniche in termini di colore del fiore e dimensioni della pianta.
Verbena odorosa
Nota anche come Verbena citriodora o Aloysia citrodora, questa pianta è apprezzata principalmente per il suo profumo, simile a quello del limone, e per le sue proprietà.
Ecco alcune informazioni e caratteristiche della verbena odorosa:
Aspetto Fisico: La verbena odorosa è un arbusto che può raggiungere un’altezza di 2-3 metri. Presenta foglie lanceolate, di colore verde chiaro, molto sottili e allungate.
Profumo: Come suggerisce il nome, le foglie emanano un gradevole profumo di limone, specialmente quando vengono sfregate o schiacciate.
Fioritura: Produce piccoli fiori di colore bianco o pallido lilla in estate.
Crescita: Predilige luoghi soleggiati e terreni ben drenati. In regioni con inverni freddi, è meglio coltivarla come pianta annuale o proteggerla durante la stagione fredda.
Usi Culinari: Grazie al suo aroma simile al limone, le foglie della verbena odorosa vengono utilizzate per aromatizzare bevande, dolci e altri piatti. Sono spesso utilizzate in tisane e infusi
per le loro proprietà benefiche e il loro sapore rinfrescante.
Proprietà Medicinali: Oltre all’uso culinario, la verbena odorosa è conosciuta per alcune proprietà terapeutiche. È spesso utilizzata per calmare il sistema nervoso, aiutare la digestione e come
antispasmodico. È anche attribuita con proprietà sedative leggere.
Usi Cosmetici: Grazie al suo profumo rinfrescante, la verbena odorosa è spesso utilizzata nell’industria cosmetica, in particolare in profumi, saponi e lozioni.
Cura: La verbena odorosa può essere soggetta a parassiti come afidi e malattie fungine. È importante garantire una buona circolazione dell’aria intorno alla pianta e annaffiare alla base per
ridurre il rischio di malattie.
Verbena Bonariensis
La Verbena Bonariensis, nota anche come verbena di Buenos Aires, è una pianta erbacea perenne originaria dell’America del Sud, in particolare delle regioni di Argentina e Brasile. È diventata
molto popolare nei giardini di tutto il mondo per la sua straordinaria presenza e i suoi lunghi steli fioriti.
Ecco alcune informazioni e caratteristiche riguardanti la Verbena Bonariensis:
Aspetto Fisico: Questa pianta può crescere fino a 1,5-2 metri di altezza, con lunghi steli sottili che terminano con infiorescenze di piccoli fiori viola-lilla. Le foglie sono lanceolate e di un
verde medio.
Fioritura: I fiori appaiono a fine primavera e possono durare fino all’autunno, offrendo un lungo periodo di colore nel giardino.
Posizione nel Giardino: Grazie ai suoi lunghi steli e alla sua natura eretta, è spesso utilizzata come pianta di mezzofondo o sfondo nelle aiuole, offrendo un contrasto con piante più basse.
Crescita: La Verbena bonariensis preferisce una posizione soleggiata e terreni ben drenati. È piuttosto tollerante alla siccità una volta stabilita e ha una buona resistenza al freddo, sebbene
nelle regioni con inverni particolarmente rigidi possa comportarsi come un’annuale.
Propagazione: Si auto-semina facilmente, il che significa che può apparire in diverse parti del giardino negli anni successivi. Tuttavia, non è invasiva e le piantine possono essere facilmente
trasferite o eliminate se non desiderate.
Manutenzione: È una pianta piuttosto a bassa manutenzione. Potrebbe essere necessario pacciamare la base in inverno nelle regioni più fredde per proteggere la pianta.
Associazioni: La Verbena bonariensis si abbina bene con molte altre piante perenni, come echinacea, rudbeckia e graminacee ornamentali.
Attrattiva per la Fauna: I fiori della verbena di Buenos Aires attirano farfalle, api e altri insetti impollinatori, rendendola una scelta eccellente per giardini orientati alla biodiversità.
Viola Mammola...
Le violette hanno ispirato la fantasia di scrittori e poeti (tra cui Shakespeare) fin dai tempi più antichi.
Erano il simbolo ufficiale della città di Atene (oggi lo sono di alcuni stati americani).
La mitologia greca racconta che Zeus, che aveva trasformato la sua amante, la bellissima ninfa fluviale Io, in una giovenca,
per farla sfuggire alle ire della moglie, trasformò le lacrime della poverina, che non amava l’erba di cui era costretta a cibarsi in un tappeto di tenere violette, che presero così il suo nome
(in greco Ion, da cui deriverebbe il nome viola).
Sia Greci che Romani stimavano e apprezzavano
le violette che simboleggiavano fedeltà e l’arrivo della primavera. Da questi fiori veniva distillato il profumo di violetta (come ancora oggi avviene).
Come pianta medicinale le viole (sembra che tutte le specie siano intercambiabili dal punto di vista alimentare e
curativo) sono esemplari nel mostrare che gli immensi benefici di un’erba non sempre debbano essere associati ad una appariscente forza o popolarità medicamentosa.
Ad un livello base le viole nutrono, quindi prima ancora di usarle per tisane, sciroppi, tinture… mangiatele!
Sono deliziose, sia le foglie tenere e dolci (poi crescendo diventano più amare ed astringenti) che i fiori aromatici.
Potete sgranocchiarli così come sono durante una passeggiata, oppure aggiungerli ad insalate o come decorazione su bruschette con formaggio spalmabile, sughi per la pasta ecc.
Perchè dovete sapere che sono ricchissime di vitamine A e C, di sali minerali ed altri antiossidanti.
Contengono anche mucillagini che calmano e lubrificano le mucose infiammate, aiutando a guarirle.
Le foglie fresche possono essere masticate, formando una poltiglia che allevia il mal di gola, l’infuso si può usare come
gargarismo.
La mucillagine aiuta anche a fluidificare ed espellere il muco dai polmoni. Lo sciroppo di violetta è molto amato dai
bambini ed ottimo per tosse e bronchiti.
Le violette contengono inoltre acido salicilico (aspirina naturale) che giustifica anche le loro proprietà contro mal di
testa e raffreddore.
La tisana di fiori di violetta favorisce il sonno.
I fiori schiacciati e aggiunti all’acqua del bagno migliorano la pelle e sono rilassanti.
La rutina contenuta nelle viole, insieme alla vitamina C, fortifica i capillari rendendo la pianta utile contro emorroidi e vene varicose.
Ma non finisce qui, la violetta ha un’azione anche sul sistema linfatico, ridando movimento in stati di congestione (tipici
della fine dell’inverno). Per ghiandole gonfie o linfa stagnante è utilissimo usare la violetta sia esternamente con impacchi sulla zona dolente, sia per via interna con infusi o
tinture.
In particolare sembra che la sua azione sia molto efficace sul seno, per fibrosi, mastiti, prevenzione e aiuto nella cura del
cancro.
Con la violetta si può preparare anche un rimedio floreale (come i Fiori di Bach) molto speciale, con una grande lezione
da darci. È per coloro che hanno una visione pura di quello che loro sentono che il mondo debba essere.
È un rimedio dell’immaginazione, per promuovere e mantenere una visione chiara e positiva che ci riporta ad uno stato di
fanciullezza piena di gioia e meraviglia. Questo può guarire la nostra indisponenza e la fatica di vivere in un mondo pieno di sfide continue.
La dolce violetta ci aiuta a stare centrati nel luogo in cui l’amore e l’immaginazione hanno il potere di
manifestarsi fisicamente e di creare un mondo migliore.